L’abito fa la politica

Il tailleur-pantalone di Angela Merkel, le braccia scoperte di Michelle Obama

In passato, le donne di successo dovevano vestirsi come gli uomini, oggi non seguono più questa regola. Una mostra londinese ci spiega che le donne al potere fanno politica anche con i loro vestiti.
Di Anne Waak

Per molto tempo le donne hanno dovuto prendere a modello l’abbigliamento maschile per potersi affermare: nella guerra contro gli Inglesi, Giovanna d’Arco portava i capelli corti e un’armatura, mentre Maria Antonietta cavalcava con pantaloni e giacca alla cavallerizza.

I completi noti come power suit nati negli anni ’80, con le spalle larghe e la vita stretta, riproducevano la silhouette maschile – un’autorità tutta da indossare. La stessa Angela Merkel, con le sue pragmatiche divise fatte di giacca e pantaloni, si affida alla sicurezza di un completo da uomo. «Al giorno d’oggi l’atteggiamento è cambiato», dice Donna Loveday, curatrice del Design Museum di Londra, dove attualmente si tiene la mostra Women Fashion Power. «Le donne non puntano sempre sullo scontato, né obbediscono alle vecchie regole. Si interessano di moda e sanno dar voce alla propria individualità».

Finalmente, basta con le convenzioni!

Le donne di successo non si piegano più alle convenzioni della moda come facevano un tempo, e la mostra lo mette bene in luce, spiegandone le cause. La mostra spiega inoltre come hanno fatto le donne negli ultimi 150 anni ad usare i vestiti per affermare la propria posizione.

Women Fashion Power parte dal corpo come prigione e indica l’evoluzione fino al look come mezzo di autoespressione; in esposizione si trovano corsetti e reggicalze con cui le donne modellavano il loro corpo, ma anche il vestito rivoluzionario e molto più comodo, con degli ampi pantaloni uniti alle caviglie, inventato nel 1851 da Amelia Bloomer, attivista americana per i diritti delle donne, e c’è perfino il vestitino avvolgente di Diane von Fürstenberg, un capo di inizio anni ’70 da lei pubblicizzato con le parole: «Feel like a woman, wear a dress».

La collezione chiarisce che sono stati il desiderio di libertà e gli sviluppi socio-politici a permettere questo cambiamento. Quando è aumentato il numero di donne che usavano biciclette e automobili, si è reso necessario modificare l’abbigliamento femminile per renderlo più agevole, pratico e leggero. Nella prima guerra mondiale le donne non hanno assunto solo le professioni degli uomini al fronte, diventando ad esempio controllori e operai, ma hanno indossato anche le loro divise.

La moda è un ottimo mezzo di comunicazione

Ai giorni nostri, le donne fanno politica anche scegliendo cosa indossare. Basti pensare alla predilezione di Michelle Obama per le creazioni di giovani stilisti americani con una storia di migrazione alle spalle, come Jason Wu o Phillip Lim. O alle sue braccia spesso scoperte, che sembrano esprimere l’intenzione di dare una mano. Per la mostra Loveday ha contattato donne di successo come Natalie Massenet, fondatrice della boutique di lusso per lo shopping online Net-a-porter, e Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, e ha chiesto loro di presentare un capo che amano molto. I vestiti esposti variano da una mantellina di Prada a una blusa bianca, e sono quindi molto diversi tra loro, così come le donne che li hanno indossati. Hidalgo ad esempio ha prestato al museo lo scialle colorato che portava la sera della sua nomina a primo cittadino – «È il mio portafortuna».

Sembrerebbe che l’invito di Loveday sia stato inoltrato anche ad Angela Merkel e Hillary Clinton, che tuttavia hanno rifiutato per i troppi impegni. Non le si può biasimare, visto che spesso (più dei loro colleghi maschi) sono giudicate per come appaiono e non per quello che fanno. «Sarebbe una boccata d’aria fresca se per una volta si criticassero meno le donne per ciò che indossano e se si parlasse di come usano i vestiti per comunicare» è il commento della curatrice della mostra.

Lodi per Angela Merkel e Ursula von der Leyen

Stando alla curatrice, la Cancelliera con i suoi tailleur-pantalone si prende molte libertà perché osa con i colori. La carrellata dei suoi completi, circolata in Internet tempo fa, mostra chiaramente che la Merkel ricorre a tutti i colori Pantone, dal pistacchio al ciliegia. Unisce quindi il look maschile alla femminilità dei capi colorati.

«È meraviglioso vedere una donna così importante che non ha paura dei colori audaci». Il Ministro della difesa tedesco, Ursula von der Leyen, con il suo look alla Top Gun (la giacca di pelle sfoggiata ad agosto in occasione dell’intervento militare tedesco in Iraq) esprime invece modernità.  «Uno stile decisamente più disinvolto, che si adegua alle sfide che la sua posizione implica».

Come sempre, le donne hanno il compito di unire femminilità e autorità. L’idea che interessarsi alla moda sia un segno della schiavitù femminile o un’espressione di frivolezza è molto ben radicata – in Germania più che altrove. «Le donne della leadership francese non indossano più tailleur pantalone o completi, ma si danno con una certa grinta ai vestiti lunghi» ha scritto l’esperta di moda Barbara Vinken nel suo libro del 2013 «Angezogen – Das Geheimnis der Mode» [Attratti dai vestiti – il segreto della moda. Il titolo contiene un gioco di parole: in tedesco angezogen è il participio del verbo “vestire” ma anche del verbo “attrarre”, N.d.T.].

Non aver paura dello stile

Parlando di politiche come Ségolène Royal o Rachida Dati, Barbara Vinken dichiara: «Rivendicano il diritto di mostrare una femminilità che non ne metta in discussione l’autorità. Si vestono come donne e hanno anche qualcosa da dire al mondo».

Il fatto che la leadership e l’entusiasmo per la moda non si escludano a vicenda l’aveva già espresso chiaramente Margaret Thatcher, primo ministro inglese. Alla mostra londinese è esposto il completo verde pallido che indossava quando vinse la presidenza del Partito Conservatore. Nel 1986 Thatcher rilasciò un’intervista di tre ore alla BBC: in piedi nella sua camera da letto, tirò fuori un vestito dopo l’altro e spiegò con entusiasmo che creava i vestiti da sé, con l’aiuto di una sarta, invece di comprare prodotti di design.

Quando l’intervistatrice chiese senza peli sulla lingua alla “Lady di ferro” se comprasse almeno la biancheria intima da Marks & Spencer (catena di vendita al dettaglio britannica) come tutti i comuni mortali, Thatcher rispose, padrona della situazione: «Sì». Sapeva che anche questa rivelazione non avrebbe minato la sua autorità.

La mostra “Women Fashion Power” sarà aperta al pubblico del Design Museum di Londra fino al 21 aprile.


Anne Waak, «Merkels Hosenanzüge, Obamas Oberarme», Die Welt, 24 novembre 2014

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