Destra e sinistra, concetti superati

Il linguaggio della politica si deve evolvere

Di Michael Short

A meno che stiate dando indicazioni stradali o che stiate insegnando ai bambini come allacciarsi le scarpe, è davvero ora di smetterla di usare i termini “destra” e “sinistra”. Hanno decisamente perso il loro significato politico. Sono così opachi e nebulosi che sono diventati un ostacolo a un proficuo dibattito politico.

Di questi tempi sembrano essere fiacchi insulti lanciati da persone che, andando a scavare in quello in cui credono, in realtà hanno più cose in comune di quanto dicano. Quelli che si identificano come “di sinistra” e quelli che si identificano come “di destra” tendono a condividere – pur senza averne il monopolio – principi chiave come onestà, libertà, decenza, gentilezza, comunità, pari opportunità e stato di diritto.

In genere apprezzano la democrazia partecipativa, che considerano il modo migliore per conciliare i diritti degli individui con il bisogno di un governo eletto di disciplinare la nostra economia e società nell’interesse pubblico. Sono generalmente favorevoli alle imprese private e a una rete di sicurezza sociale.

Nella scorsa settimana, oggi incluso, Fairfax Media ha pubblicato – sulle nostre piattaforme digitali e sui giornali – una delle più dettagliate analisi degli atteggiamenti politici e sociali australiani mai realizzate prima.

Il Political Persona Project – una joint venture che unisce Fairfax, l’Istituto di Ricerca Sociale della Australian National University e la società di ricerca Kieskompas – ha identificato diversi gruppi. […] Nessuno di questi rientra nelle obsolete quanto lineari categorie ideologiche destra/sinistra. Ma questo non significa che non ci siano grandi differenze nei punti di vista. Il progetto illustra come la nostra popolazione sia divisa […] su temi controversi come ridistribuzione della ricchezza, cambiamento climatico, immigrazione/multiculturalismo, tradizionalismo/autoritarismo e consumismo/materialismo. Tra le cose su cui si concorda di più c’è il fatto che l’Australia importa troppo e che dovrebbe produrre di più a livello locale, e che il sistema politico non risponde in modo adeguato ai bisogni dei cittadini.

Insomma, c’è ancora molto spazio per un dibattito significativo e importante sulla politica e sulle politiche. E il progetto non poteva arrivare in un momento migliore, vista l’abbondanza di prove della diffusa disillusione in merito allo status quo: l’elezione di Donald Trump come presidente statunitense, la decisione del Regno Unito di abbandonare il progetto europeo dopo 40 anni; l’affermazione di partiti politici opportunistici e di politici che promulgano soluzioni semplicistiche a questioni complesse; l’ondata di sdegno per quelle “élite” che molti ritengono abbiano manipolato il sistema politico per il proprio interesse a spese del pubblico; la paura dei rifugiati; la paura del terrorismo. Qui in Australia e nonostante un quarto di secolo di continua crescita economica, la disillusione è causata dalla stagnazione dei salari effettivi, e dalla manipolazione del sistema fiscale da parte di individui abbienti e multinazionali.

L’insoddisfazione è esacerbata da preoccupazioni legittime in merito a sicurezza nazionale, sicurezza sul lavoro, convenienza delle case, terrorismo e, di nuovo, diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Ma lo sfruttamento cinico di questi fattori da parte di Trump, un uomo che come diventa sempre più evidente è inadatto all’alta carica che ricopre e, a livello locale, dal One Nation Party palesemente anti-immigrazione e dal suo leader, Pauline Hanson, […] finirà per peggiorare le cose invece che portare a cambiamenti illuminati.

È curioso osservare la stridula banda dei tifosi di Trump, nei media e nella più ampia comunità. Queste persone condannano all’infinito “quelli di sinistra” in attacchi che mancano di significato e di direttive. Queste persone sembrano pensare che Trump mostri leadership perché sta facendo molto, ma non riescono a riconoscere che quello che fa è ridicolo e pericoloso e indifendibile. Quelli che cercano di ritrarre Trump come l’eroe di “destra” sembrano del tutto ignoranti, o accecati da rancore e ideologia.

Ecco alcune delle ragioni per cui Trump è non solo pericoloso, ma riprovevole: la sua adesione al protezionismo, che non farà che ferire quei lavoratori americani che dice di voler aiutare; il suo comportamento tremendo nei confronti delle donne; il suo nepotismo; il suo inaffidabile narcisismo, pessimo difetto in un leader; il suo razzismo; la sua evasione fiscale; la sua mancanza di rispetto per il sistema legale e per le altre persone; la sua irrazionalità, mancanza di controllo e volubilità senza freni; la sua incompetenza operativa; il suo inopportuno flirt con un leader tanto pieno di difetti quanto il russo Vladimir Putin.

L’estremismo politico abbracciato dai suoi simili, Hanson, Bernardi e, in Francia, Marine Le Pen, non è la soluzione alle questioni sociali ed economiche che tanto preoccupano la gente qui e altrove, questioni che derivano in primis dall’impatto della tecnologia e dall’avvento razionale e immensamente benefico – in termini umanistici – della globalizzazione. Nazionalismo e sciovinismo sono poco stabili e fraudolenti, rifugio e malizia dei demagoghi; non portano giustizia ma illegittimità.

E la maggior parte di noi lo sa. Dei gruppi identificati dal Political Persona Project, quello che corrisponde più da vicino alle posizioni di Trump e compari è una frazione insignificante – solo un australiano su cinque.

La maggior parte delle persone sono buone e gentili. Condividono valori su cui si possono fondare soluzioni moderne a questioni contemporanee. Nello scorso decennio crescita economica, scienza e progressi tecnologici hanno tolto centinaia di milioni di persone dalla povertà nel mondo, hanno creato molti più posti di lavoro di quanti siano andati persi, hanno aumentato l’aspettativa di vita e salvato innumerevoli vite. L’economia, la politica e lo stile di vita australiani sono celebrati in tutto il mondo e, senza essere boriosi, dobbiamo tenerne conto nei nostri dibattiti politici. La prospettiva è importante.

Commercio, mercati ben regolamentati, libertà individuale, investimento e impresa fatta dalle imprese, un sistema fiscale in cui tutti pagano la loro parte, sistemi sanitari (psicologici e fisici) ed educativi con buone risorse, immigrazione – questi sono i modi per rendere il mondo, questo mondo che condividiamo, un posto migliore. Il punto non è mettere al primo posto l’America. Il punto è mettere al primo posto equità e razionalità. C’è spazio per accordi fondamentali; la maggior parte degli scontri obsoleti possono essere visti come marginali e andrebbero lasciati alla storia. I guerrieri del destra vs. sinistra darebbero un contributo più valido alla discussione nazionale se abbandonassero la loro furiosa retorica e se parlassero invece di cambiamenti specifici per migliorare le opportunità economiche e sociali del Paese.


Michael Short, «The language of politics needs to evolve», The Age, 11 febbraio 2017

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