Politici in blue jeans

Come reinventare l’Italia

di Roger Cohen

ROMA – Da tempo l’Italia langue nell’inerzia, e la vitalità dei suoi abitanti è stata soffocata dalla burocrazia e dell’opacità dello stato. Gli italiani sono risparmiatori ricchi e prudenti. Il loro stato è povero, dissoluto e inefficiente. Negli ultimi trent’anni, sin da quando ho iniziato a fare il corrispondente in Italia, ho osservato il Paese sfoderare la sua ingenuità per aggirare la modernizzazione, fino a raggiungere quell’orgia di escapismo barocco nota come l’era Berlusconi.

Quindi sono rimasto piuttosto sorpreso quando l’altro giorno ho visto il primo ministro Matteo Renzi venirmi incontro con passo rapido; indossava un paio di jeans e una camicia bianca senza cravatta («Spero non le dispiaccia, è il casual Friday!») e si muoveva senza la scorta servile tipica dei precedenti premier italiani, con l’intenzione di far passare un messaggio di cambiamento. Il suo obiettivo: creare «un paese smart» che «ha smesso di piangersi addosso».

Renzi, in carica da meno di 10 mesi, ha 39 anni. Di per sé questo è qualcosa di inimmaginabile per la lugubre gerontocrazia politica che dominava in Italia, incarnata dal defunto Giulio Andreotti, primo ministro per sette mandati. «La nuova generazione dovrebbe fare politica seguendo il metodo presidenziale americano, due mandati e via» mi ha detto durante un’intervista lunga un’ora nel suo ufficio a Palazzo Chigi. «Se vinco le prossime elezioni mi do un massimo di otto anni, quindi lascerò la politica».

È un uomo che va di fretta: riforma costituzionale, riforma elettorale, vendita su eBay di diverse auto blu, donne inserite in posizioni di spicco (metà della squadra di governo è al femminile), progetti per tagliare il numero di deputati e senatori (attualmente quasi 1000). «In America, come tutti sanno un Paese più piccolo e meno importante dell’Italia, avete 535 membri in tutto» ha detto Renzi, alzando le sopracciglia, con un sorriso. Messaggio ricevuto.

Ha alzato il suo tablet e ha detto di volere l’intera, labirintica amministrazione pubblica italiana semplificata in un’applicazione. «Questo è il futuro della nostra amministrazione!» ha detto. «Quanto prenderò di pensione – sarà tutto qui».

Un paese smart.

I jeans e i discorsi sulle app fanno passare un messaggio – è ora di dare un taglio al passato. In qualità di politico europeo in un’età in cui la politica nazionale sembra spesso una farsa, superata da una finanza indistinta, Renzi sa che il simbolismo è importante nel produrre qualcosa di concreto. Il Jobs Act, la cruciale riforma economica del premier, è stato approvato dal Parlamento questo mese. Una riforma che semplifica il codice del lavoro, permette alle imprese con più di 15 dipendenti di licenziare più facilmente i suoi lavoratori, e inoltre lega la protezione dei lavoratori ai loro anni di servizio. Per gli standard italiani del “un lavoro per tutta la vita”, è un passo rivoluzionario. Avere un lavoro voleva dire essere “sistemati”, avere una sicurezza economica permanente.

Ho chiesto a Renzi perché avesse scelto un nome inglese. «Perché mi piace quello che ha fatto Obama» ha risposto. «Le cose più interessanti le ha fatte sul fronte domestico. Nel 2009 ha preso un’economia in crisi, è intervenuto, ha rilanciato la crescita e creato posti di lavoro, tutte cose che l’Europa non è riuscita a fare».

Detto così, suona bene, ma l’economia statunitense è geneticamente predisposta alla crescita, alla mobilità lavorativa e all’innovazione. Quella italiana, invece, è zoppa. Deve sopportare il fardello di un debito pubblico e di una recessione in continuo aumento, e la disoccupazione è al 13%. Quando sono atterrato in Italia, ho trovato il centro di Roma chiuso per le proteste contro il Jobs Act. Renzi ha molto lavoro da fare per convincere gli italiani a cambiare il loro modo di pensare.

I suoi mezzi per manovrare e stimolare l’economia sono limitati. La Commissione Europea ha ammonito l’Italia poiché questa potrebbe violare il Patto di Stabilità e Crescita dell’UE, per il quale occorre rispettare limiti severi sui deficit di bilancio e direttive asfissianti sulla riduzione del debito. Angela Merkel, la cancelliera tedesca, ha affermato questo mese che ogni violazione sarebbe «negativa per l’Europa».

Sono discorsi che preoccupano Renzi, poiché a suo avviso rendono la crescita impossibile. Il suo Partito Democratico esiste da soli sette anni. In un’Europa dove i partiti estremisti e xenofobi sono in crescita, poiché riflettono la rabbia popolare di fronte all’alto tasso di disoccupazione e al ristagno economico, la sua è un’eccezione: un partito mainstream di centro-sinistra in crescita.

Questo successo ha fatto di Renzi forse il secondo politico più potente in Europa dopo Merkel. In termini schematici, lui è il Signor Anti-Austerity contro la Signora Austerity. Inoltre è l’unica vera novità del continente, dato che la Gran Bretagna è alle prese con un dibattito debilitante sulla possibile uscita dall’Unione, mentre la Francia è in un circolo vizioso segnato da una leadership debole.

«Qui in molti hanno accusato Merkel di essere la colpevole della crisi» ha detto Renzi. «Ma la colpa non è sua. È nostra. Siamo stati noi a metterci in questa situazione. Se avessimo fatto una riforma del lavoro 10 anni fa, quando la fece la Germania, saremmo in condizioni di gran lunga migliori». Tuttavia, ha aggiunto, qualcosa deve cambiare in un’Europa dominata «da una dittatura di burocrati e tecnocrati», non disposta ad accettare che «la politica è il regno della flessibilità». Frau di ferro, prenda nota.

Il modello economico europeo, ha dichiarato Renzi, è sbagliato. «Non possiamo continuare a ragionare solo in termini di austerity e rigore. In una fase di deflazione e ristagno, non possiamo. Doppiamo tenere i conti in ordine, spendere in modo oculato, certo, perché la Germania è preoccupata che i Paesi meridionali non investano saggiamente i loro fondi – ed è vero – ma il punto chiave è che se noi mettiamo mano ai nostri problemi, l’economia europea deve cambiare a favore degli investimenti per la crescita».

Ho chiesto a Renzi come questo sia possibile. Mi ha risposto che gli investimenti nelle aree strategiche – banda larga digitale, istruzione, ricerca, energia, green economy – «dovrebbero essere esclusi dai calcoli del Patto di Stabilità, che è lo strumento del rigore e dell’austerity».

Come può, ha chiesto, combattere la criminalità e l’enorme disoccupazione della Sicilia, quando una formula sui defitit e sui debiti del Patto di Stabilità lo blocca?

L’eurozona, in cui l’Italia è la terza maggiore economia, è un’entità ingombrante – unita da una valuta comune, divisa da tutto il resto, dalla politica fiscale alla cultura. La rabbia per il ristagno sta per degenerare. Renzi ha ragione: qualcosa deve accadere per l’Europa e per i suoi giovani senza lavoro. In passato perfino la Germania ha infranto le regole del Patto di Stabilità in tempi di emergenza. Ora tocca agli altri. Ma se Renzi otterrà dei margini di manovra sulla flessibilità del bilancio, non potrà permettersi di fallire. Gli sprechi e la corruzione sono endemici in Italia, tamponarli è un’impresa da Sisifo. «Prima devo sistemare il mio Paese» ha riconosciuto Renzi. «Altrimenti non sarò mai credibile».

In Italia un incantesimo è stato infranto. La politica è cambiata. Il premier ha paragonato il Paese a «una bella addormentata nel bosco fatato che può essere svegliata».

La bella sta dando segni di vita, senza dubbio. Resta da vedere se si alzerà in piedi. Gli italiani, stretti tra l’alternarsi di poteri e la vanità dell’ambizione, tendono a essere scettici di fronte ai cambiamenti. Sarà un viaggio arduo. Ma ho voglia di dare a Renzi il beneficio del dubbio.


Roger Cohen, «Trying to Reinvent Italy», The New York Times, 13 dicembre 2014

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