I Tudor di pelle scura

I Tudor neri – nessuno schiavo in vista

Musicisti e principi: un nuovo libro dell’esperta di storia Miranda Kaufmann esplora il ruolo finora sconosciuto dei mori inglesi del XVI secolo.
Di Bidisha

A pochi minuti dall’incontro con l’esperta di storia Miranda Kaufmann imparo a non lanciarmi in interpretazioni superficiali di razza e storia. Eccoci a Moorgate, dico. Il nome rimanda al fatto che era un grande nucleo di mori all’epoca dei Tudor? «Faccia attenzione» mi redarguisce «per quanto ne sa lei potrebbe esserci stata una brughiera qui [moor in inglese, N.d.T.]. Lo stesso vale per cognomi e stemmi: se il cognome è Moore, può darsi che venga da moorhen, la gallinella d’acqua, o da blackamoor, moro appunto. Ma non è detto che sia un indizio legato alla razza».

La sua risposta – meticolosa ma non altisonante, capace di sposare dettagli memorabili e questioni di ampia portata – ricorda il suo primo libro, Black Tudors: The Untold Story, in cui Miranda Kaufmann contesta l’idea che la schiavitù sia stata l’inizio della presenza di africani in Inghilterra, e che la loro unica esperienza sia stata di sfruttamento e discriminazione. Il libro racconta 10 vivide storie vissute, costellate da aneddoti drammatici e delicati dettagli in grado di riportare in vita i personaggi.

Gli africani vivevano in Gran Bretagna fin dai Romani, come soldati, schiavi ma anche uomini liberi. Kaufmann mostra che all’epoca dei Tudor erano anche presenti alle corti di Enrico VII, Enrico VIII, Elisabetta I e Giacomo I, oltre che nei circoli familiari di Sir Walter Raleigh e William Cecil. Con il suo libro spiega inoltre che si potevano trovare Tudor neri in diversi strati sociali, spesso distanti dalla sofisticazione e dal patrocinio della corte reale: da Dederi Jaquoah, africano occidentale che trascorse due anni con un mercante inglese, a Diego, marinaio catturato dagli spagnoli a Panama, vissuto a Plymouth e morto nelle Molucche dopo aver circumnavigato il globo con Sir Francis Drake.

Kaufmann si è interessata ai neri di Gran Bretagna quasi per caso: inizialmente voleva incentrare la propria tesi della Oxford University sulle impressioni dei marinai Tudor che si erano avventurati in Asia e nelle Americhe, poi però ha scoperto dei documenti sulla presenza di africani in Gran Bretagna. «Era la prima volta che ne sentivo parlare, anche se avevo studiato la storia dei Tudor a diversi livelli. Quando sono andata all’archivio nazionale, un’archivista mi ha risposto: “Non troverai nulla qui sull’argomento”.» Ma la Kaufmann non ha smesso di cercare: dopo aver contattato gli archivi locali ha raccolto tutto il materiale necessario per il suo libro. Perché l’esistenza dei Tudor è stata ignorata, taciuta e mai insegnata? «La storia non è un insieme di fatti» sottolinea. «Dipende tutto da che domande rivolgi al passato. Se rivolgi domande diverse, ottieni risposte diverse. E nessuno ha mai chiesto nulla sulla diversità. Finora, almeno.»

Nonostante le ricerche di Kaufmann, è difficile accettare che i neri non fossero trattati come stranezze (o peggio) nell’Inghilterra dei Tudor. «Dobbiamo pensare all’Inghilterra di allora» ricorda l’esperta «una nazione-isola non troppo potente ai margini dell’Europa, una nazione protestante in difficoltà, a rischio costante di invasione da parte della Spagna. Dobbiamo tornare al periodo in cui gli inglesi non erano ancora mercanti di schiavi, a prima che disponessero di enormi colonie. Il progetto coloniale del Paese prende il via in modo consistente solo nel XVII secolo». Sorge spontanea una domanda: «Come siamo passati da un periodo di relativa accettazione al diventare i maggiori mercanti di schiavi al mondo?»

Black Tudors non esagera la diversità etnica inglese – nella sua ricerca, Kaufmann ha rinvenuto solo 360 individui di colore circa per il periodo 1500-1640 – ma per la prima volta introduce britannici non di pelle bianca nel tessuto sociale della vita dell’epoca. I Tudor neri arrivavano in Gran Bretagna grazie al commercio inglese in Africa; provenivano dall’Europa meridionale, dalle popolazioni di (schiavi) neri in Spagna e in Portogallo, i principali colonizzatori dell’epoca; al seguito di reali come Caterina d’Aragona e Filippo II (il marito di Maria I); come mercanti o aristocratici; e come risultato di spedizioni e attacchi contro l’impero spagnolo. «Se catturavi una nave spagnola, era probabile trovare degli schiavi a bordo» dice Kaufmann. «C’è stata una nave condotta a Bristol come bottino che ne aveva ben 135. Sono stati rimandati in Spagna dopo una settimana trascorsa in un fienile: le autorità non sapevano come comportarsi con loro.»

Sebbene in Inghilterra non ci fossero leggi che approvassero o definissero la schiavitù, non doveva certo essere uno spasso essere «l’unico nero del villaggio» – come Cattelena, una donna indipendente di Almondsbury il cui «bene più prezioso… era una mucca». Eppure, Kaufmann scopre vite impressionanti: basti pensare a John Anthony, un marinaio arrivato in Inghilterra su una nave di pirati; Reasonable Blackman, un tessitore di seta di Southwark; e Jacques Francis, sommozzatore. Kaufmann li indica come «esempi di uomini stimati per le loro capacità. In un periodo successivo si vedranno ritratti di africani seduti in un angolo con fare servile che guardano la figura principale, ma nella realtà questi uomini e donne non erano solo giocattoli nelle mani dell’aristocrazia. Lavoravano come sarte o birrai. Svolgevano incarichi di considerevole utilità anche nelle case degli aristocratici e – come il facchino Edward Swarthye, o come altri cuochi – venivano pagati. John Blanke, trombettista reale, riceveva uno stipendio pari al doppio di quello di un bracciante agricolo e al triplo di quello di un domestico medio. Non venivano frustati, picchiati, messi in catene o venduti.»

Mi è ancora difficile non storcere il naso davanti ai nomi che venivano dati ai Tudor neri – Swarthye [da swarth, di carnagione scura, N.d.T.], Blanke, Blackman, Blacke – e all’idea che l’esistenza di una prostituta, Anne Cobbie, una «mora burrosa» dalla «pelle morbida» sia una vittoria per la diversità. Ma effettivamente sembra che i Tudor neri non se la cavassero poi peggio dei bianchi. In linea di principio, erano accettati come cittadini qualunque e non rifiutati o emarginati. «È estremamente significativo, considerata l’importanza della religione, il fatto che gli africani venissero battezzati, sposati e sepolti in seno alla Chiesa. Si tratta di un segno di grande accettazione, specialmente nel caso del battesimo, perché “con il battesimo sei accettato nella comunità della Chiesa di Dio”, in cui tutti sono un corpo solo».

Kaufmann si dice «ansiosa: alla gente potrebbe non piacere il libro. Il problema è l’elemento sorpresa: nessuno pensa che ci fossero africani nell’Inghilterra Tudor. C’è ancora questa fantasia di un passato bianco – ben diversa dalla realtà. È tutta questione di ignoranza […]»

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Black Tudors: The Untold Story di Miranda Kaufmann
è pubblicato da Oneworld (£ 18,99 consigliati).


Bidisha, «Tudor, English and black – and not a slave in sight», The Guardian, 29 ottobre 2017

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