Sarà sicuramente successo anche a voi: vi spostate da una stanza all’altra perché dovete prendere qualcosa e, arrivati lì, non sapete più di cosa si tratta. Ci spiega il fenomeno, conosciuto come “doorway effect”, Tiffany Sales dalle pagine di Le Soir.
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La Memoria non passa attraverso i selfie
«Fammi vedere le foto che mi hai fatto al campo». «Bella questa, la uso per il profilo Instagram». Sul treno da Dachau a Monaco ci due giovani turiste. Hanno appena visitato il campo di concentramento di Dachau. Cosa spinge la gente a mettersi in posa in un campo di concentramento per il proprio profilo social e a taggare le immagini con hashtag come #instacaust, #niceday o addirittura #yolocaust? Se lo chiede Miriam Dahlinger su Bento.
Un anno di carta
In un’epoca in cui quasi nessuno scrive più lettere e in cui si sopravvive anche senza biro, ecco una vera e propria dichiarazione d’amore all’agenda cartacea, firmata Katharina Hölter per Bento.
Zzzzzzz
Dreem è una fascia destinata a migliorare la qualità del sonno tramite una serie di stimolazioni cerebrali. Perché, come ci ricorda Pierre Schellingen su Le Figaro, dormire significa produrre ormoni, consolidare la memoria e stimolare il sistema immunitario.
I bei vecchi tempi non esistono.
Elaborati racconti e foto di un lontano passato possono evocare, come per magia, ricordi conservati nella propria memoria ma non certo esatti. Sulle pagine dello Spiegel, la psicologa Julia Shaw ci spiega il meccanismo con cui idealizziamo il passato.
La lezione che l’Olocausto avrebbe dovuto insegnarci
«Quando si tratta di difendere gli oppressi, evitare le aggressioni, frenare gli eccessi dei despoti, stroncare la vittimizzazione dei capri espiatori, ridurre la povertà o prevenire i genocidi, la comunità internazionale ha ancora molta strada da fare».
Nel Giorno della Memoria, il Guardian ospita l’intervento di Ephraim Mirvis, capo della comunità ebraica britannica.