Perché entrando in una stanza non ricordiamo più come mai ci abbiamo messo piede?
Sarà sicuramente successo anche a voi: vi spostate da una stanza all’altra perché dovete prendere qualcosa e, arrivati lì, non sapete più di cosa si tratta. Il fenomeno ha un nome, “doorway effect”.
Di Tiffany Sales
Avete lasciato le chiavi in cucina e decidete di andarle a prenderle. Ma appena mettete piede nella stanza non sapete più perché siete lì. In 30 secondi avete dimenticato l’obiettivo della vostra missione. Ma non c’è di che preoccuparsi, non state perdendo colpi. A dire il vero, questo fenomeno piuttosto diffuso e noto con il nome di “doorway effect” è indice del buon funzionamento del vostro cervello.
Qualche anno fa, gli scienziati pensavano che la nostra memoria fosse come un grande archivio: per ogni esperienza vissuta, il cervello creava un piccolo dossier che qualche giorno più tardi si sarebbe potuto riaprire con facilità, così da consultarne il contenuto. Ma il nostro cervello è ben più complesso di così. Lo si potrebbe paragonare a un computer superpotente, che svolge decine di compiti contemporaneamente e che tiene aperte numerose applicazioni nello stesso momento.
Lo studio di Gabriel A. Radvansky
Nel 2011, uno studio di Gabriel A. Radvansky e dei suoi colleghi ha dimostrato la complessità del cervello, confermando questo strano fenomeno. Per eseguire lo studio, i ricercatori hanno chiesto a 55 studenti di giocare sul computer a un gioco di realtà virtuale. Nel gioco, bisognava trasportare alcuni oggetti da una stanza all’altra. Quando si attraversava una stanza, appariva sullo schermo l’immagine di un oggetto e bisognava cliccare su “sì” o “no” per confermare se si trattava o meno dell’oggetto da trasportare (che rimaneva nascosto in una scatola così che non potessero controllarlo).
Le immagini facevano la loro comparsa sia al passaggio in una nuova stanza che al rientro nell’ambiente di partenza.
Il risultato? Quando i partecipanti passavano da una stanza all’altra e si sentivano chiedere informazioni sul contenuto della scatola, le risposte diventavano più lente e imprecise; lo stesso avveniva quando tornavano nella stanza da cui erano venuti. Non era tanto una questione di distanza, ma il fatto di passare in una stanza diversa (anche quella di partenza) a indebolire o addirittura cancellare il ricordo.
Punto di rottura
I ricercatori hanno concluso che il cervello dei partecipanti percepisce le porte come una sorta di punto di rottura. Come spiegare il fenomeno? Passando da una stanza all’altra, cambia sia l’ambiente fisico che quello mentale. Quando si esce da un contesto specifico per immergersi in uno spazio diverso, si presentano nuove sfide, che affrontiamo “svuotando” la nostra memoria di lavoro per archiviare informazioni aggiornate.
Mantenere l’attenzione su uno specifico obiettivo nonostante il cambio di contesto è possibile, e anche adattivo, ma richiede maggiore concentrazione.
A proposito, cos’è che dovevo dirvi?
Tiffany Sales, «Pourquoi oublie-t-on ce qu’on comptait faire en entrant dans une pièce?», Le Soir, 22 settembre 2017
Un commento Aggiungi il tuo