Perché facciamo così fatica a descrivere gli odori?
Impossibile negarlo, facciamo fatica a descrivere gli odori in modo oggettivo e univoco. Ma non si tratta di una mancanza dell’intero genere umano, quanto piuttosto di un difetto culturale.
Di Lena Stallmach
Probabilmente la maggior parte di voi crede di poter riconoscere la cannella dall’odore. Vi sbagliate di grosso. Se in un test si chiede a diverse persone di identificare odori quotidiani, come quello di cioccolato, limone, rosa o cannella, gli errori ammontano a più del 50% delle risposte. Anche i sommelier più esperti, con un olfatto costantemente allenato, non hanno migliore fortuna – a meno che si tratti di vino.
Ma il problema non sono solo gli odori: abbiamo difficoltà anche nel descrivere i profumi. Nei Paesi occidentali chi deve descrivere un profumo si arrabatta in qualche modo, ma si scontra con la dura realtà: mancano i termini adatti. Abbiamo denominazioni precise per i colori, come rosso o verde, ma per gli odori ci limitiamo a termini qualitativi (piacevole o disgustoso) o al paragone con altri profumi noti, dicendo ad esempio «Sa di banana». Questa carenza di parole non è un fenomeno generale, ma culturale. Ci sono popoli, infatti, che hanno un vocabolario estremamente ricco per gli odori e sanno usarlo in maniera efficiente.
Come hanno mostrato già quattro anni fa i ricercatori guidati da Asifa Majid del Max-Planck-Institut per psicolinguistica a Nijmegen, Paesi Bassi, c’è un popolo che sa descrivere i profumi con la stessa precisione con cui indica i colori. Si tratta dei Jahai, che vivono nella foresta pluviale tra la Thailandia e la Malesia: nel loro vocabolario ci sono ben 12 parole usate esclusivamente per gli odori. Con questo vocabolario possono descrivere in modo univoco i profumi quotidiani.
I ricercatori hanno paragonato la capacità dei Jahai di descrivere colori e odori a quella degli inglesi. Gli anglofoni che si sono sottoposti al test erano obiettivamente più precisi nella descrizione dei colori, ma facevano cilecca negli odori. Per uno stesso odore, infatti, si sono registrate risposte arzigogolate ed eterogenee.
In un nuovo studio, Majid e Nicole Kruspe della Lund University svedese hanno cercato di stabilire se la capacità di dare una denominazione precisa agli odori dipenda dalla famiglia linguistica, dalla vita nella foresta pluviale o dall’attività di cacciatore e raccoglitore. A tal fine hanno messo a confronto due gruppi etnici dello stesso circolo culturale e linguistico (Aslian) della penisola malese. I Semaq Beri vivono come cacciatori e raccoglitori, proprio i Jahai. I Semelai, invece, coltivano riso su superfici disboscate.
È così emerso che i Semaq Beri sanno descrivere gli odori con la stessa accuratezza dei colori, mentre i sedentari Semelai hanno fatto fatica a descrivere gli odori, proprio come gli anglofoni. Il tutto a fronte dello stesso numero di vocaboli per gli odori dei Semaq Beri. Forse avevano dimenticato quelle parole una volta passati alla vita sedentaria, ipotizza Majid.
Lo studio mostra che la capacità di descrivere gli odori è correlata alle condizioni di vita, sottolinea Thomas Hummel, ricercatore olfattivo presso l’Universitätsklinikum di Dresda. Nella nostra vita quotidiana percepiamo di rado gli odori in modo consapevole e non ne parliamo quasi mai. Non ci serve dunque nessun lessico specifico.
I popoli dei Semaq Beri e dei Jahai, invece, parlano spesso degli odori perché hanno un ruolo chiave non solo nel procacciamento di cibo, ma anche nella vita quotidiana, dice Majid. I due popoli, ad esempio, pensano che ciascun individuo abbia un odore specifico e che non si debbano mischiare i profumi dei parenti, si tratterebbe di un comportamento quasi incestuoso.
Lena Stallmach, «Warum wir Gerüche schlecht beschreiben können», Neue Zürcher Zeitung, 20 gennaio 2018