La grassofobia in cifre
Al centro dell’odierno dibattito pubblico, la grassofobia è l’insieme di stigmatizzazioni e discriminazioni subite dalle persone obese o in sovrappeso.
Di Laura Motet
È stata uno dei grandi “dimenticati” nella lotta alla discriminazione, la grassofobia: con questo termine si indicano le stigmatizzazioni e le discriminazioni subite dalle persone in sovrappeso o obese. […]
«Perché una discriminazione entri a far parte dell’ordine del giorno e sia oggetto di politiche mirate, occorre che gli attori sociali la facciano propria. Finora, sono state interpellate in merito alla grassofobia solo le organizzazioni che operavano in contesti specifici (medici, compagnie di trasporto)» spiega Solenn Carof, sociologa e autrice di una tesi sul sovrappeso. Numerosi fattori, però, hanno partecipato all’emergere della grassofobia nel dibattito pubblico, come il successo degli abiti a taglia forte (una prova di domanda reale) o i social network, che hanno dato la parola a persone in sovrappeso o obese.
50%
i francesi in sovrappeso o obesi
«La mancanza di azioni pubbliche è legata agli stereotipi da sempre associati alla grassezza: c’è chi teme di “valorizzare” l’obesità difendendo le persone obese» sottolinea Solenn Carof. Per lo Stato, sovrappeso e obesità determinano ingenti “costi sociali”. Secondo il Tesoro, si parlerebbe di 20,4 miliardi di euro, senza i costi specifici per l’assicurazione sanitaria (13,4 miliardi).
Questi numeri sembrano destinati ad aumentare, dato che la percentuale di persone in sovrappeso o obese potrebbe passare dal 47% nel 2012 al 67% nel 2030, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
«La principale caratteristica della grassofobia è che è indirizzata a un numero elevato di individui. Quasi la metà della popolazione francese. Ma, contrariamente alle discriminazioni contro le donne, chi è discriminato perché grasso non è “favorito” per la sua condizione (a differenza di alcune professioni, come vendita o accoglienza, dove le donne sono “preferite” agli uomini)» sottolinea Jean-François Amadieu, sociologo specializzato nelle relazioni sociali sul lavoro e collaboratore presso l’Osservatorio sulle discriminazioni.
In Francia, la norma (a cui ci si riferisce quando si parla di “normopeso”) resta la magrezza. Quelli che se ne discostano, anche se sono quasi il 50% della popolazione, sono vittime di stigmatizzazioni e discriminazioni.
45%
le persone in cerca di lavoro che ritengono sia accettabile rifiutare di dare lavoro a qualcuno per la sua taglia
Nel febbraio del 2016, l’associazione per i diritti del lavoro ha pubblicato uno studio sulla percezione delle discriminazioni in sede di assunzione. Un disoccupato su tre ritiene che in alcuni casi sia accettabile non dare lavoro a qualcuno per il suo peso. Uno su dieci pensa che sia accettabile rifiutare un lavoro a qualcuno per il suo peso, a prescindere dalle circostanze.
Eppure, stando alla legge francese, è una discriminazione.
Assieme a etnia, età, sesso, identità di genere e disabilità, l’aspetto fisico «è uno dei venti criteri che, se addotto come motivazione per una differenza di trattamento, specie sul lavoro, è da considerarsi illegale» spiega l’associazione per la tutela dei diritti. Eppure, a oltre 16 anni «dalla sua adozione, questo criterio specifico è ancora raramente invocato davanti ai giudici o presso l’autorità di tutela dei diritti (nel 2015, solo 4,2% dei reclami per discriminazioni sul lavoro riguardavano la grassofobia)». La Francia, insieme al Belgio, è l’unico Paese dell’Unione Europea che annoveri l’aspetto fisico tra i criteri di discriminazione.
Una discriminazione che non può essere accettabile nemmeno in alcune situazioni specifiche. Anche per le professioni (come quella dei vigili del fuoco) in cui il reclutamento si basa su prove fisiche, il peso, come l’altezza, non può essere motivo di rifiuto di un lavoro se il candidato riesce a superare i test.
20%
le persone obese e disoccupate che ritengono di aver subito discriminazioni al momento dell’assunzione
Il motivo? «I pregiudizi [dei datori di lavoro e della popolazione in generale] che associano alla grassezza caratteristiche come immoralità (passività, mancanza di forza di volontà), bruttezza e un cattivo stato di salute» spiega Solenn Carof. «Esistono anche numerose idee errate sulla dieta: spesso si pensa che basti mettersi a dieta per dimagrire, ad esempio. La semplicità della soluzione porterebbe a pensare che chi è grasso manca di forza di volontà».
Le discriminazioni legate al peso vanno a sommarsi ad altre, legate all’età (con l’età aumenta la prevalenza di persone in sovrappeso), ma anche alla categoria sociale. «L’obesità è più diffusa tra persone di classi sociali svantaggiate» continua Solenn Carof. «I poveri sono da tempo associati a stereotipi (e lo sono ancora), come lassismo e pigrizia».
11% vs 6%
le donne in sovrappeso sono più discriminate sul lavoro degli uomini
Se uomini e donne obesi sono discriminati allo stesso modo, le donne, dal canto loro, sono discriminate per il sovrappeso sin dai primi chili, come mostra la stessa indagine realizzata dall’associazione per la tutela dei diritti.
Le pretese sociali legate al fisico sono maggiori per le donne rispetto che per gli uomini: «Per convenzione sociale, si considera la bellezza come un “attributo femminile”. È per questo attributo che si valorizzano in genere le donne, sia sul mercato matrimoniale che nel lavoro» spiega il sociologo Jean-François Amadieu. «La grassofobia riguarda dunque in particolare il lavoro a contatto con la clientela, molto femminilizzato, in cui il datore di lavoro stima che la capacità di sedurre sia essenziale per fare bene il proprio mestiere».
Mentre le indagini realizzate dall’associazione per la tutela dei diritti e dall’Osservatorio per le discriminazioni hanno permesso di misurare le discriminazioni subite da persone in sovrappeso o obese, mancano i numeri per studiare la grassofobia in altri campi della vita quotidiana. «Quando si fanno indagini sulle discriminazioni, gli sponsor tendono a dimenticare la grassezza» dice Jean-François Amadieu. «Ad esempio, la CSA, che pubblica rapporti regolari sulla diversità in TV, si interessa a genere, età, disabilità, categorie socioprofessionali… ma non al peso».
Laura Motet, «Quatre chiffres pour comprendre l’ampleur de la “grossophobie”», Le Monde, 15 dicembre 2017