Le donne saudite scendono in curva

L’Arabia Saudita ammette le donne in curva

Sotto la direzione del giovane principe ereditario Salman, l’Arabia Saudita osa infrangere un altro tabù: dal 2018 sarà consentito l’accesso alle famiglie in tre stadi del Paese.
Di Christian Weisflog

Sono gesti di liberalizzazione piccoli e cauti, ma si susseguono a un ritmo notevole. Solo un mese fa un decreto del re saudita annunciava la fine del divieto di guida per le donne a partire da giugno. E ora cade un altro bastione maschile: «Stiamo preparando tre stadi per famiglie a Riyad, Gedda e Dammam, che apriranno nella primavera del 2018» ha scritto in un tweet l’autorità sportiva statale saudita.

Una nuova autorità di intrattenimento

Già in occasione della festa nazionale il 23 settembre le donne sono state ammesse a un settore speciale per famiglie nel King Fahd International Stadium. Come ha riferito la BBC, la nuova “autorità di intrattenimento” ha organizzato anche festival di strada con musica e danze. Chissà, forse tra non molto cadrà anche il divieto di accesso al cinema per le donne…

La forza motrice dietro questa apertura sociale è il giovane principe ereditario Mohammad bin Salman. Già prima della sua nomina a giugno il 32enne era un uomo dalla personalità decisa. Nella primavera del 2016 aveva presentato la sua ambiziosa agenda per il 2030, con cui ha dichiarato di voler svincolare l’economia del proprio Paese dal petrolio. A questo proposito, la scorsa settimana ha annunciato di voler investire 500 miliardi di dollari nella costruzione di una megalopoli per l’innovazione, che come una sorta di Silicon Valley saudita dovrebbe sorgere al confine con la penisola egiziana del Sinai e che dovrebbe essere battezzata “Neom”.

Retorica rivoluzionaria ma gesti esitanti

Durante la presentazione del gigantesco progetto hanno fatto più scalpore però le esternazioni di Salman sulla politica religiosa saudita: «Torniamo a un Islam moderato, aperto al mondo e a tutte le religioni. Il 70% dei cittadini sauditi hanno meno di 30 anni. Invece di sprecare i prossimi 30 anni della nostra vita a combattere idee estremiste, è meglio distruggerle ora e subito». Se il principe ereditario riuscisse ad accompagnare a queste parole anche azioni concrete, cambierebbe non solo il volto dell’Arabia Saudita, ma dell’Islam mondiale. I petrodollari islamici infatti hanno contribuito in maniera considerevole alla diffusione globale del wahhabismo ultra-conservatore e al problema del jihadismo. Un’Arabia Saudita più tollerante potrebbe anche avere un ruolo nuovo nel conflitto con la repubblica islamica dell’Iran, scossa da agitatori soprattutto dell’ala conservatrice.

Di fronte alle parole rivoluzionarie del principe ereditario, i passi di liberalizzazione per le donne sembrano piuttosto deboli. Finché blogger come Raif Badawi restano in carcere o la minoranza sciita nell’est del Paese viene repressa con pugno di ferro, c’è da pensare che il principe Salman non parli sul serio quando prospetta una perestrojka saudita. Per oltraggio all’Islam, ad esempio, nel 2012 Badawi è stato condannato a dieci anni di prigione e a 1000 frustate.

Un’ondata di critiche da parte dei conservatori

Va detto che il principe ereditario Mohammed bin Salman e suo padre, re Salman, devono procedere con prudenza se non vogliono inimicarsi il clero conservatore e scatenare una controrivoluzione. Già l’ammissione delle donne nello stadio nazionale a settembre ha provocato un’ondata di proteste che in rete si è concretizzata con l’hashtag “Patriottismo non significa peccato”. «Quello che avviene non piace a Dio e al suo profeta» ha scritto un utente su Twitter. C’è anche chi ha lanciato appelli per il ritorno della polizia religiosa, che dall’anno scorso non ha più il permesso di arrestare i cittadini.

Anche l’annuncio della fine del divieto di guida per le donne ha scatenato un vespaio. Il cervello femminile è la metà di quello maschile; e se le donne vanno a fare shopping, gliene resta solo un quarto, ha spiegato Saad Al-Hijri in una conferenza sui “mali della guida femminile”. Le autorità hanno impedito a Hijri di continuare a predicare, obbligandolo a svolgere altre attività religiose.

Sarà interessante vedere fino a dove si spingeranno le prossime riforme della famiglia reale saudita. Per quanto riguarda le donne, c’è ancora molto da fare. Senza il benestare di padri, mariti o fratelli non possono richiedere passaporti, andare all’estero, aprire un conto in banca o sposarsi. Il coraggio di cambiare le cose dipenderà probabilmente dalla pressione riformista o dal prezzo del petrolio, che con i suoi 53 dollari attuali è solo la metà di quanto si registrava tre anni fa. In assenza di entrate, la casa reale dovrà trovare qualcosa di nuovo per mantenere soddisfatta la sua giovanissima popolazione.


Christian Weisflog, «Saudiarabien erlaubt Frauen in der Fankurve», Neue Zürcher Zeitung, 30 ottobre 2017

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