Prima di internet

Prima di Internet

Di Emma Rathbone

Prima di internet te ne saresti rimasta in poltrona con un libro aperto in grembo, a fissare lo spazio o una ramazza decorativa appesa al muro – passando da uno all’altro di questi due modi di essere.

Prima di internet, ti saresti messa a disegnare di tua spontanea volontà. Avresti abbozzato qualcosa con tutta calma in un taccuino, non sapendo bene cosa fosse, ma ti saresti lasciata guidare dall’ispirazione e – voilà! – ecco comparire un sinuoso alligatore strabico.

Prima di internet, avresti sbadigliato nei pomeriggi estivi, ti saresti stravaccata su un divano, poi su un altro, e avresti finito per creare un falso tesserino dell’FBI. Avresti preso della carta dallo studio di papà, prima di copiare il logo FBI, mettere la tua firma, plastificare il tutto con lo scotch, inserire il tesserino nel portafogli, toglierlo dal portafogli, guardarlo e rimetterlo nel portafogli con il sorriso di chi la sa lunga.

Era un periodo esaltante!

Saresti andata in un qualche centro artistico, indossando un’ampia tuta, e avresti guardato un vassoio di gioielli preziosi dicendo «È un occhio di gatto». Il tuo amico avrebbe detto «No. È un opale» e tu avresti detto «Invece è proprio un occhio di gatto». E non ci sarebbe stato modo di verificarlo, di dimostrare chi avesse ragione, a meno che qualcuno avesse una brochure. «Qualcuno ha una brochure?» avresti chiesto, guardandoti intorno. «C’è una brochure che parla di questa roba?»

Poi saresti uscita strizzando gli occhi al cielo, solo tu nel tuo corpo, senza rimanere impastoiata alla connessione o alla rete, ma alla deriva, sola in un mondo di estranei e luce.

Prima di Internet, potevi trasferirti in un nuovo Stato e nessuno a scuola avrebbe saputo nulla di te. Non avresti avuto alcuna storia online. Saresti potuta essere chiunque. Ti saresti appoggiata agli armadietti con un’espressione distante sul viso e che la gente pensasse quello che voleva. Che fossi una ragazza delicata o un vero e proprio maschiaccio. O che nella tua città natale avessi avuto come amici i corvi. E tutti avrebbero dato per scontato che se avessero visto un corvo quello ti avrebbe riconosciuto, perché avevi una sorta di comprensione dei corvi a causa di indefinite abilità telepatiche che di tanto in tanto ti facevano apparire irrequieta ma davvero importante.

E se qualcuno avesse voluto rintracciare un tuo vecchio amico e scrivergli una lettera vera per scoprire quanto di tutto questo fosse reale, beh, buona fortuna.

Prima di Internet, avresti potuto perder tempo su una panchina nel parco a Chicago a leggere Dean Koontz, e sarebbe stata una cosa legittima da fare e nessuno l’avrebbe mai saputo a meno che avessi deciso di dirglielo.

Prima di Internet, se avessi avuto bisogno di appurare dei fatti avresti deciso di consultare una persona anziana, come quella che viveva nel tuo seminterrato. Ma poi ti saresti ritrovata a guardare “Il ponte sul fiume Kwai”, cosa che avresti accettato di fare solo perché la persona anziana te l’avrebbe chiesto in modo così fragile che non avresti saputo dirle di no.

Dieci minuti dopo avresti detto che avevi bisogno d’acqua, poi ti saresti avventurata fino in cucina, dove ti saresti incantata a guardare una calamita sul frigorifero. Poi, per nessuna ragione al mondo, avresti accennato qualche passo di danza. Ti saresti chiesta se non fosse il caso di espandere quella danza. «Forse dovrei diventare regista di video musicali» ti saresti detto. Ma non avresti avuto modo di dare seguito all’idea o di verificarla; te ne saresti rimasta nell’assordante silenzio della cucina a mezzogiorno, assieme ai tuoi pensieri.

«Dovrei provare queste penne sul blocchetto turchese?» ti saresti chiesta, fissando alcune penne vicine al telefono.

Invece avresti bevuto un sorso dal bicchiere dicendo «Aah» come nella pubblicità. Poi saresti andata davanti allo specchio per vedere che espressione avevi. Perché prima di internet era così. Eri tu a creare il divertimento.


Emma Rathbone, «Before the Internet», The New Yorker

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