Api vs plastica

Insetti mangiaplastica? Belli, ma…

Allevare tarme della cera perché divorino i nostri rifiuti sembra un’ottima idea. Se non fosse che finirebbero per distruggere le colonie di api e per mettere a repentaglio i raccolti.
Di Philip Ball

Di recente la scoperta di tarme capaci di sgranocchiare sacchetti di plastica ha dato vita ad accese speculazioni sulla possibilità di eliminare in futuro l’inquinamento globale imputabile ai rifiuti plastici. Questa fortuita scoperta, fatta da una scienziata e apicoltrice amatoriale che si era vista mangiucchiare un sacchetto di plastica, è stata riferita dai ricercatori della Cambridge University e dal CNR spagnolo.

Ma che gentile la natura a fornirci insetti mangiaspazzatura. Che sia la fine di discariche, tartarughe con lo stomaco intasato dai rifiuti e alberi con nastri di sacchetti in plastica?

Non è mai così semplice, però, vero? I tentativi di obbligare la natura a fare il nostro lavoro sporco non sembrano mai portare ai risultati sperati, basta pensare agli alberi piantati per assorbire diossido di carbonio, alle specie invasive per il controllo di parassiti o all’uso di microrganismi per porre rimedio ai versamenti di petrolio. Vi ricordate la debacle australiana dei rospi? Questi animaletti introdotti negli anni ’30 avrebbero dovuto mettere freno al dilagare di parassiti nelle coltivazioni, ma invece hanno iniziato a ingozzarsi di altri specie locali e a diffondersi in tutto il Paese.

Le larve della tarma maggiore della cera (galleria mellonella) riescono a divorare il polietilene, che assieme al suo parente più stretto, il polipropilene, è il principale tipo di plastica che si trova nei rifiuti. Ma ne occorrerebbe un esercito per ridurre in maniera significativa il problema dei rifiuti plastici. Solo il Regno Unito ne produce quasi 2 tonnellate l’anno. Al tasso di consumo riferito dai ricercatori – una tarma mangia circa due milligrammi di plastica ogni giorno – servirebbero miliardi di tarme che mangiano ininterrottamente per tutto l’anno per far fronte al problema.

Anche senza considerare la questione di come e dove si potrebbero allevare tutti questi insetti, c’è qualcosa che le notizie su questa scoperta hanno mancato di riferire. Le tarme della cera, diffuse in tutto il mondo, si chiamano così perché mangiano cera. Nello specifico, prediligono la cera con cui le api producono i favi – e così facendo devastano intere colonie di api. Le due specie più comuni delle tarme della cera, una delle quali è proprio la galleria mellonella, provocherebbero danni per 4 milioni di sterline solamente negli Stati Uniti.

Con la popolazione di api già sotto stress a causa di pesticidi, perdita di habitat e predatori, forse è il caso di pensarci due volte prima di iniziare ad allevare schiere dei loro nemici volanti – anche se l’intenzione è di tenerli chissà come in centri per la lavorazione delle materie plastiche. L’idea che se le api spariscono l’umanità le seguirà a ruota nell’arco di quattro anni, erroneamente attribuita ad Albert Einstein, sarà anche un filino iperbolica. Ma senza la loro funzione impollinante, la coltivazione dei raccolti sarebbe in guai seri.

Il polietilene resta nell’ambiente perché le sue molecole sono difficili da smantellare. I microrganismi più comuni presenti nel terreno non hanno risorse sufficienti per scomporlo. Le materie plastiche sono realizzate a partire da molecole di idrocarburi del petrolio e la cosa ideale sarebbe ritrasformarle in petrolio una volta utilizzate, così da ricreare una sostanza preziosa invece di gettarla tra i rifiuti. I chimici lavorano da tempo a questo scopo, ma solo di recente hanno iniziato a intravedere dei progressi. E visto che la cera dal punto di vista chimico è simile al polietilene le tarme della cera sono in grado di scomporlo.

Eppure ci sarebbe una soluzione molto più semplice e meno pericolosa al problema della plastica: i batteri. In fondo, esistono batteri capaci di mangiare qualsiasi cosa. Alcuni divorano tutti contenti sostanze chimiche tossiche, come il perclorato (un diserbante); altri prosperano tra i rifiuti radiattivi. L’anno scorso un’équipe di scienziati giapponesi ha identificato un batterio esistente in natura che si nutre di un altro tipo di plastica molto comune, il polietilene tereftalato, usato per realizzare bottiglie per bibite e acqua.

È possibile che siano proprio i batteri i responsabili delle capacità digestive della galleria mellonella: nel 2014 si è scoperto che un altro mangiatore di cera, la tignola fasciata del grano, ospita nel proprio tratto digestivo batteri capaci di smantellare il polietilene. Che la galleria sia un ospite altrettanto generoso per questi batteri?

Questi batteri potrebbero essere la soluzione ideale. Li si potrebbe allevare in vasche di fermentazione perché dissolvano la plastica senza che nessuno si debba prendere cura di numerose colonie di tarme della cera. O in alternativa si potrebbero estrarre gli speciali enzimi digestivi di queste larve e metterli al lavoro – in una sorta di concentrato di succhi gastrici.

Ecco le vere ragioni per cui questa nuova scoperta è promettente, e non perché presto daremo da mangiare sacchetti di plastica alle tarme. Come al solito quando si parla di scienza, non ti presentano la soluzione su un vassoio d’argento, ma devi seguire indizi con pazienza e attenzione. Non ci si fanno titoloni sui giornali. Ma le api ringraziano.


Philip Ball, «Plastic-eating bugs? It’s a great story – but there’s a sting in the tail», The Guardian, 25 aprile 2017

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