L’intelligenza del polpo
Di Callum Roberts
* Callum Roberts è docente di conservazione marina presso la University of York in Gran Bretagna, nonché autore di L’oceano della vita: il destino dell’uomo e del mare.
«Voi due vi guardate. Lui è piccolo, delle dimensioni di una pallina da tennis. Allunghi una mano e distendi un dito, e un tentacolo del polpo lentamente si srotola e si avvicina per toccarti. Le ventose ti afferrano la pelle, e la presa è incredibilmente salda. Una volta fissate le ventose, attira a sé il dito, trascinandoti inesorabilmente verso di sé… Dietro il tentacolo, grandi occhi tondi ti fissano per tutto il tempo.»
Incontrare un polpo in un ambiente naturale, come afferma Peter Godfrey-Smith nel suo affascinante libro Altre menti, è la cosa più simile che esista a incontrare un alieno intelligente. Il polpo e i suoi parenti più stretti – calamari, seppie e nautili – fanno parte di un ampio quanto eclettico gruppo di creature prive di spina dorsale, gli invertebrati. Collettivamente noti come cefalopodi, sono imparentati con lumache e vongole, con le quali condividono la sfortunata caratteristica di avere un sapore meraviglioso. Non leggete questo libro, però, se volete continuare a mangiare i calamari con la coscienza pulita, perché i cefalopodi sono svegli, bellissimi e dotati di una personalità straordinaria.
I cefalopodi hanno innegabilmente un aspetto alieno: non c’è da sorprendersi che gli autori di fantascienza li abbiano trasformati in alieni immaginari. Un polpo ha tre cuori che pompano sangue azzurro-verdognolo nel corpo, usando un vettore a base di rame e non di ferro per il trasporto dell’ossigeno. Gli otto tentacoli sono coperti da ventose che gli permettono di muoversi, sondare e maneggiare oggetti con grande destrezza. Quando è in pericolo o in preda alla rabbia, può passare alla propulsione a getto, e se il pericolo permane può espellere una nube di inchiostro, confusione e oscurità. Un polpo ha poche parti del corpo dure (solo il becco e gli occhi) e questo ne rende il corpo infinitamente malleabile. Può infilarsi in fori non più grandi del diametro del proprio bulbo oculare.
La maggior parte dei cefalopodi sono cacciatori attivi, che vanno in cerca di prede (granchi e altri molluschi, per lo più) senza nascondersi da potenziali predatori. E qui i loro corpi morbidi e saporiti diventano un problema. Per contrastare questa vulnerabilità, l’evoluzione ha prodotto i più esperti mutaforma del mondo animale. I cefalopodi sono i più abili camuffatori che ci siano, in grado di adattarsi all’ambiente in un istante e così bene che anche il più acuto osservatore li perde di vista. In quanto a mantelli dell’invisibilità, i loro sono quasi perfetti. La loro pelle è come uno schermo di pixel. Lo strato superiore contiene decine di migliaia di piccole sacche di tre colori diversi, che si possono aprire e chiudere liberamente per riversare il loro contenuto rosso, giallo, marrone o di altre sfumature, a seconda della specie. Come se non bastasse, c’è anche uno strato di cellule riflettenti […] per creare un effetto iridescenza. Al di sotto c’è un altro strato riflettente per respingere la luce in entrata.
Le trame della pelle dei cefalopodi non sono semplici trucchi dovuti ad abbinamenti di colore: questi animali possono produrre schemi di colore sfolgoranti come nuvole di passaggio, luccicanti come lampi d’argento o cangianti come le onde che si dipartono da un sasso gettato in uno stagno. Le seppie possono mettere in mostra due spettacoli colorati in contemporanea, inviando segnali per invogliare i loro simili all’accoppiamento da una parte e mettendo in guardia i rivali con uno spettacolo di colori diverso dall’altra.
La fenditura nell’albero della vita che ha separato vertebrati e invertebrati ha avuto luogo 600 milioni di anni fa. Una diramazione, come spiega Godfrey-Smith, ha condotto a intelligenze progressivamente più complesse, che hanno assunto la forma di pesci, rettili, uccelli e mammiferi. L’altra ha prodotto sofisticati mezzi di rilevamento e di sopravvivenza in un mondo pericoloso, ma ha trascurato la complessità mentale. I cefalopodi rappresentano un’isola di intelligenza in questo mare di invertebrati. Un esperimento indipendente di evoluzione cerebrale.
Godfrey-Smith non è uno scienziato, ma un filosofo. Questo, dice, è un libro di filosofia e anche di scienze. La questione con cui si diletta è quella della consapevolezza: «Si prova qualcosa a essere un cefalopode dal cervello enorme, o questi animali sono solo macchine biochimiche con il buio dentro?»
I cervelli dei cefalopodi sono sicuramente impressionanti. Chiunque si sia trovato faccia a faccia con un polpo avrà avvertito che c’è qualcosa di speciale in agguato dietro quegli occhi felini. Lo scrittore romano Claudio Eliano ha detto nel III secolo che “malizia e astuzia sono caratteristiche chiaramente visibili in questa creatura». I polpi in cattività danno libero sfogo a questo temperamento malizioso, imparando a rompere lampadine con getti d’acqua, a gonfiarsi per riconoscere singole persone, a spruzzare acqua addosso a chi non amano (o forse i getti d’acqua sono un segno acquatico di amicizia?). Con mezzo miliardo di neuroni con cui giocare, c’è spazio per un sacco di complessità. […]
C’è una grande differenza nel modo in cui polpi e umani usano i loro neuroni, però, per tornare alla battuta di Godfrey-Smith in merito a un’intelligenza aliena. Nei cefalopodi ci sono più neuroni nei tentacoli che nel cervello. Questo dà loro una squisita sensibilità, permettendo ai tentacoli di toccare, gustare e addirittura, fino a un certo punto, vedere e pensare in modo indipendente.
Ma fino a dove si spinge il potere mentale dei cefalopodi? Sono in grado di pensiero cosciente? Godfrey-Smith si avventura su un arduo terreno filosofico e psicologico per concludere in termini negativi. I cefalopodi sono sì capaci di un’eccezionale complessità nei loro segnali, ma la macchina dell’interpretazione è troppo limitata in loro. Gli umani, forse in modo unico, hanno acquisito l’abilità di uscire da loro stessi, di pensare ai propri pensieri per mezzo di un inarrestabile monologo interiore. Anche se i cefalopodi possono produrre segnali colorati, non sanno come è fatta la loro pelle, dice Godfrey-Smith, e questo esclude la possibilità di qualsiasi monologo interiore.
Eppure… e se ci stessimo perdendo qualcosa? Forse non potranno vedere la loro pelle caleidoscopica, ma possono chiaramente avvertire quello che stanno facendo. Telecamere remote sul fondo del mare mostrano polpi scoppiettare di mille colori anche quando non ci sono creature presenti ad osservarli. Godfrey-Smith pensa sia solo un sottoprodotto dell’attività neurale, niente più che un capriccio espressivo. Ma forse non è così. Forse stanno comunicando tra loro.
Interpretare quello che avviene nelle menti altrui è ancora al di là delle capacità della scienza e della filosofia. Dopo aver letto questo libro, per parafrasare Byron, “non amerai gli uomini di meno, ma i cefalopodi di più”.
Other Minds.
The Octopus, the Sea, and the Deep Origins of Consciousness
Peter Godfrey-Smith
Callum Roberts, «Just how smart is an octopus?», The Washington Post, 6 gennaio 2016