E se la Romania diventasse la Silicon Valley d’Europa?
Reti di telecomunicazioni all’avanguardia, giovani sviluppatori qualificati e a basso costo… la Romania ha tutte le carte in regola per attirare start up da ogni parte del mondo.
Di Enrique Moreira
Qual è il Paese con la connessione a internet più veloce di tutta l’Unione Europea, al decimo posto nella classifica mondiale? La risposta (chi l’avrebbe mai detto?) è contenuta nel titolo di questo articolo. Nel quarto trimestre del 2015, con una velocità massima di 73.6 Megabit al secondo (Mbps), la connessione a internet della Romania faceva mangiare la polvere a Stati Uniti (al 20° posto) e Francia (al 52° posto), come afferma lo studio mondiale sullo “stato di Internet” realizzato dall’azienda tech Akamai. In quanto a velocità media di connessione, la Romania si posiziona al decimo posto nella regione che comprende Europa, Medio Oriente e Africa, e al diciannovesimo su scala globale. Per fare un paragone, la Francia è solamente 21esima a livello europeo e 44esima nel mondo.
Non c’è da stupirsi che molte imprese specializzate in nuove tecnologie e/o in tecnologie dell’informazione e della comunicazione vogliano trasferirsi in Romania: non è da escludersi che in futuro il paese diventi la Silicon Valley d’Europa, fa notare Quartz. Nell’arco di 5 anni, Bucarest ha attirato non meno di 170 start up, assistendo al contempo allo sviluppo di imprese locali legate a doppio filo al settore della tecnologia.
La velocità di connessione a internet non è l’unico asso nella manica del Paese che, entrato nell’Unione Europea nel 2007, è ormai secondo per crescita economica. Al momento del suo ingresso nell’Unione, Bucarest partiva da lontano e si lasciava alle spalle 43 anni di comunismo, pur affondando le sue radici attuali in quei modelli di sviluppo economico.
Fibra, fibra dappertutto
Gli anni di Ceausescu (1967-1989), caratterizzati dalla stretta sorveglianza della popolazione e da un’attiva polizia segreta, hanno permesso lo sviluppo di reti di telecomunicazione di ottima qualità. Inoltre, negli anni ’90 l’operato della società nazionale Romtelecom obbligava gli imprenditori a sviluppare reti proprie: mentre le imprese romene investivano direttamente nella fibra, i loro omologhi europei aggiornavano le vecchie reti in rame, a fronte di spese ingenti.
Internet veloce e infrastrutture di telecomunicazione all’avanguardia nonché poco care da mantenere grazie a costi di manodopera bassi: è questo ciò che rende la Romania un Paese particolarmente interessante per le imprese del settore tech alla ricerca di luoghi in cui delocalizzare. Tanto più che anche gli affitti sono generalmente piuttosto bassi.
Giovani molto qualificati
Ma soprattutto, queste imprese possono contare su personale qualificato e poco caro, in particolar modo per quanto riguarda la scienza dell’informatica. Il salario di un giovane informatico si attesta almeno in una fase iniziale attorno ai 400€. Cosa che suscita l’interesse di numerosi datori di lavoro, soprattutto per quanto riguarda il personale qualificato: i romeni e le romene godono infatti di un’ottima reputazione, si dice siano capaci di fare di più e a minor prezzo.
Ecco di nuovo che la Romania beneficia degli anni di comunismo, durante i quali il regime poneva l’accento sull’insegnamento della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica, sottolinea Quartz. Per loro la dittatura è ormai solo un ricordo, ma i membri della generazione Y romena (chi è nato tra l’inizio degli anni ’80 e la metà degli anni ’90) crescono con una connessione a internet di buona qualità e programmi scolastici incentrati sulla matematica. Cosa che determina la nascita di giovani sviluppatori competenti.
Ma anche di sviluppatrici talentuose. In effetti, la Romania si piazza al terzo posto in Europa per numero di donne impiegate nel campo nella tecnologia dell’informazione e della comunicazione. A Bucarest, il 30% degli sviluppatori sono donne, mentre a Londra sono solo il 19%. Secondo Quartz, anche in questo dato si può scorgere un retaggio del comunismo, durante il quale le donne avevano l’obbligo di “partecipare allo sforzo collettivo”.
Un mercato troppo piccolo
Non è tutto rose e fiori, comunque, in Romania. I pregiudizi contro le donne nel campo delle tecnologie e delle start up, ad esempio, ci sono tanto quanto in altri Paesi. Inoltre, le giovani imprese romene hanno difficoltà maggiori nell’accedere ai finanziamenti. Negli ultimi 10 anni, ad esempio, hanno raccolto solamente 13,1 milioni di euro, contro gli 8,1 miliardi dei loro omologhi londinesi.
Il mercato romeno è inoltre piccolo e dotato di un debole potere d’acquisto. Per espandere le proprie attività, le imprese romene sono dunque obbligate a guardare all’estero. Quartz cita ad esempio Aliens by Daria, una start up specializzata nella robotica che sviluppa Woogie, un assistente personale con comandi vocali destinato ai bambini. L’impresa punta al mercato americano, con il suo potenziale di 30 milioni di clienti, anche se il prodotto sarà interamente pensato e fabbricato in Romania. I costi di esportazione andranno a gravare sugli introiti di Aliens by Daria.
In questo contesto, Bucarest ha spesso difficoltà a trattenere i suoi talenti, che hanno fame di lavori meglio remunerati e di mercati in crescita. Ma per una giovane azienda tecnologica che cerca un posto in cui operare, o per un’impresa affermata che cerca di delocalizzare o di lavorare in outsourcing, la Romania comincia seriamente ad assomigliare a una Silicon Valley in miniatura.
@EnriqueMoreira, «Et si la Roumanie devenait la Silicon Valley de l’Europe ?», Les Echos, 28 agosto 2016