Il crimine riduce il riscaldamento climatico?
Di Pierre Barthélémy
Quando, in materia di crimine, si parla di “impronta”, ci si riferisce solitamente ai dati ottenuti tramite rilevazione, come le impronte digitali o genetiche. Di certo non si vuole evocare l’impronta ecologica della criminalità! Eppure è proprio questo territorio vergine che un team britannico ha voluto esplorare in uno studio pubblicato di recente sul Journal of Industrial Ecology, partendo dalla constatazione che in genere si cerca di valutare l’impatto sociologico ed economico del crimine, ma ci si dimentica spesso il suo costo ambientale.
L’approccio dello studio è originale, proprio come la composizione del team di ricerca: una parte degli autori è formata da ricercatori dell’Università del Surrey, gli altri lavorano all’Home Office, l’equivalente britannico del ministero degli interni. Adottando l’approccio tipico dell’ecologia industriale, che prende in considerazione l’integralità delle ricadute ambientali dei prodotti che si fabbricano, dall’estrazione dei materiali che li compongono fino alla loro distruzione o al loro riciclaggio, hanno dunque cercato di calcolare l’impronta ambientale del crimine in scala su un Paese — in questo caso l’Inghilterra e il Galles — integrando tutto quanto: azioni di prevenzione, assicurazioni, costi diretti dei crimini (per citarne alcuni, la sostituzione degli oggetti danneggiati o rubati e l’ospedalizzazione dei feriti), costi dell’inchiesta di polizia, dell’azione giudiziaria, del sistema penitenziario.
Al termine di calcoli molto complessi, gli autori hanno stabilito il costo medio per tipologia di crimine o delitto. Senza grandi sorprese, l’omicidio è il crimine con l’impronta ambientale maggiore: l’equivalente dell’emissione di 71,2 tonnellate di CO2 per assassinato. Più di qualsiasi altro atto criminale o delittuoso. Per le aggressioni che contemplano gravi feriti, la fattura crolla a sole 5,1 tonnellate, 1,1 per rapina a mano armata o svaligiamento e 0,1 per taccheggio. Aggiungendo tutti i crimini e i delitti sopraggiunti in Inghilterra e in Galles e aggiungendo quelli, numerosi, non registrati dalla polizia, si ottiene un totale di 4 milioni di tonnellate di CO2 per il 2011, l’anno su cui ha lavorato il team di ricerca. Vale a dire, l’equivalente delle emissioni di 900.000 nuclei familiari britannici per il semplice consumo energetico, dato per nulla trascurabile.
Effetto rebound
Gli autori annunciano che il loro studio è solo la prima parte di un più vasto lavoro sull’impronta ecologica del crimine. Si pongono infatti numerose domande sulla sua riduzione: «Sarebbe allettante concludere la nostra ricerca» scrivono «sostenendo che la riduzione del crimine produrrebbe automaticamente una riduzione generale delle emissioni di anidride carbonica» e contribuirebbe alla lotta contro l’emissione di gas serra che sono all’origine del riscaldamento climatico. Ma le cose non sono così semplici, e questo a causa dell’effetto rebound.
L’effetto rebound è quel fenomeno un pizzico perverso che fa sì che, cambiando la macchina per comprarne una dai consumi di carburante minori, ad esempio, siate tentati di fare maggiori chilometri: questo fenomeno, in sostanza, rischia di creare una fattura energetica e un’impronta ecologica più elevata! Uno studio australiano ha infatti dimostrato che se lo Stato riducesse le spese nel campo della difesa, si avrebbe una riduzione delle emissioni di gas serra, a condizione di trasferire il budget risparmiato ad altri settori – come l’istruzione, la costruzione di musei o l’apertura di parchi – invece di restituire i soldi ai cittadini tramite condoni fiscali!
Nel quadro criminale, come si potrebbe manifestare l’effetto rebound? Gli autori spiegano ad esempio che, anche se i tribunali e le prigioni producono gas serra, le persone giudicate e poi incarcerate hanno un’impronta ecologica nettamente minore rispetto a un cittadino normale, perché hanno poche entrate, vivono in uno spazio ristretto ed è abbastanza improbabile che prendano l’autostrada o un biglietto aereo per assistere ai Giochi Olimpici di Rio… Secondo lo studio, una riduzione degli svaligiamenti sarebbe probabilmente seguita da un aumento – modesto – delle emissioni di CO2! Ci sono tuttavia, precisano gli autori, ancora molte ricerche da fare per dire con certezza se il crimine aggrava o riduce il riscaldamento climatico. Aggiungono anche, con evidente buonsenso, che la lotta alla criminalità e alla delinquenza deve avere la meglio sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Eppure niente impedisce che si punti a dei miglioramenti sia nella costruzione di tribunali e prigioni, sia nell’intensificarsi di azioni preventive, che hanno un’impronta ecologica di gran lunga minore delle azioni repressive in genere. Allora è proprio vero: prevenire è meglio che curare…
Pierre Barthélémy, «Le crime réduit-il le réchauffement climatique ?», Le Monde, 7 agosto 2016