Dove vanno a finire i dispositivi indossabili (spoiler: non al polso)
Di Nick Bilton
C’è un cassetto di cianfrusaglie, a casa mia, che era proprio come il vostro, pieno di spiccioli, batterie e candeline di compleanno. Ma l’anno scorso ha iniziato ad accumularvisi una nuova categoria di cianfrusaglie: i dispositivi indossabili. Come il mio vecchio Fitbit, un fitness tracker che ho usato circa un paio di settimane prima di scordarmi di caricarlo e che ho poi smesso di indossare. È lì vicino a un Jawbone UP impolverato, un altro tracker che una volta mi ha detto che avevo camminato per tre miglia, mentre in realtà me ne stavo sul divano a guardare un film e divorare popcorn. E poi c’è l’Apple Watch, il dispositivo tanto pubblicizzato che in teoria ci avrebbe dovuto accompagnare in una nuova era di mobile computing.
E invece questi gadget finiscono nei cassetti e negli armadi quali costosi moniti di come i dispositivi indossabili non siano ancora pronti al grande passo – o almeno non nell’immediato futuro.
Anch’io un tempo credevo che avrebbero trasformato il mondo in cui viviamo. Più o meno come gli smartphone ci hanno messo internet in tasca, i dispositivi indossabili avrebbero avvicinato le informazioni alle nostre dita, rendendoci più sani e meno dipendenti dagli smartphone.
Non ero l’unico a credere che queste tecnologie avrebbero cambiato le nostre vite per il meglio. Molti analisti avevano previsto che i dispositivi indossabili sarebbero stati adottati ampiamente, in una forma o nell’altra. Due anni fa BI Intelligence, reparto ricerca di Business Insider, ha previsto che entro il 2018 i Google Glass avrebbero rappresentato un affare da 11 miliardi di dollari. Una relazione di ABI Research, società di ricerche di mercato specializzata nel campo della tecnologia, sosteneva che entro il 2018 la gente avrebbe acquistato quasi mezzo miliardo di dispositivi indossabili l’anno.
E invece…
Sì, lo so che alcuni di voi lettori amano i braccialetti tecnologici. E sicuramente la Apple ha venduto qualche milione di orologi, così come la Samsung e la Pebble. Ma per ogni successo ci sono decine di fallimenti.
Come quello dei Google Glass, che non sono riusciti ad attrarre consumatori e hanno creato una lunga serie di problemi legati alla privacy (perfino nei bagni degli uomini). Ma ce ne sono molti altri, inclusi i FuelBand della Nike, scomparsi dagli scaffali nel 2014.
Per i prodotti che ancora restano sugli scaffali, andare avanti è dura.
Fitbit è passato da una capitalizzazione di mercato di più di 10 miliardi di dollari all’inizio del 2015 ai 3,7 miliardi di dollari odierni. (L’azienda è stata anche colpita da una class-action, secondo la quale due braccialetti per la frequenza cardiaca, il Charge HR e il Surge, erano imprecisi). E Jawbone, il produttore del braccialetto UP, ha perso metà del suo valore durante lo scorso anno, passando da 3 miliardi di dollari nel 2014 a 1,5 miliardi nel gennaio del 2016.
Eppure alcuni analisti sono ancora ottimisti nei confronti dei dispositivi indossabili, pur avendo dovuto rivedere le tempistiche delle loro precedenti previsioni. Ad esempio, la società di ricerca tecnologica IDC aveva affermato che gli smartwatch sarebbero diventati un prodotto mainstream entro il 2018.
«Di recente abbiamo rivisto le nostre stime» dice Jitesh Ubrani, analista senior di ricerca per dispositivi mobili presso la IDC. «In sostanza, non crediamo che accadrà fino almeno al 2019».
Pensando ai dispositivi indossabili in mostra alla Consumer Electronics Show di Las Vegas quest’anno, è facile capire perché IDC dice che ci vorranno almeno altri cinque anni prima che i consumatori adottino in massa questi gadget.
La fiera era piena di stand con vestiti, orologi e occhiali carichi di sensori, i quali non sono riusciti a generare molto interesse. Sono stati abbinati a prodotti più esoterici, come reggiseni e camicie intelligenti, sneaker riscaldate e grovigli di braccialetti.
Come il mio collega Farhad Manjoo ha fatto notare, riferendosi alla fiera dell’elettronica, «nel corso delle prossime due edizioni è probabile che vedremo un sacco di dispositivi che non sembreranno ancora adatti ai tempi», inclusi «dispositivi indossabili che nessuno vorrebbe mettersi».
Ma allora perché tutti questi gadget hanno fallito nel guadagnare attenzione? In primo luogo, quasi tutti richiedono uno smartphone completamente operativo, quindi invece di sostituire il telefono diventano un altro gadget che dobbiamo trascinarci dietro.
C’è poi il fatto che la maggior parte di questi dispositivi sono proprio brutti. Se i nerd uomini possono non badare al design, le donne non sembrano interessate a indossare un fax al polso, anche se è in oro rosa o se ha un adorabile cinturino di pelle.
E c’è anche lo spiacevole fatto che la tecnologia proprio non sembra pronta. L’Apple Watch, ad esempio, è lento nell’eseguire semplici compiti come usare Siri per cercare un contatto o rispondere a una mail. La durata della batteria è un altro grosso problema; occorre ricaricare l’orologio ogni giorno o diventa un semplice braccialetto. (Un altro dispositivo prosciuga-batteria come lo smartwatch Samsung Gear S2, con una sua propria connessione dati cellulare, richiede batterie enormi che lo rendono grosso e ingombrante.)
Ma il problema principale è forse il prezzo.
Jitesh Ubrani di IDC ha detto che i consumatori non riescono a giustificare l’acquisto di uno smartwatch che costa quasi quanto uno smartphone.
«Molti consumatori hanno provato gli smartwatch e non ne vedono la necessità» ha detto. «Soprattutto perché offrono solo le notifiche di uno smartphone. Allo stesso prezzo di uno smartphone».
Quindi, per i prossimi anni, credo proprio che lascerò perdere i dispositivi indossabili che usciranno sul mercato. Non ho scelta. Nei cassetti delle cianfrusaglie di casa mia non c’è più spazio.
Nick Bilton, «Where Wearable Technology Ends Up (Hint: Not Your Wrist)», New York Times, 20 gennaio 2016