Quella brutta bestia della dismorfofobia
Alcuni bambini vedono solo dettagli da odiare nel proprio aspetto: questo può portare a depressione, ansia, autochirurgia e persino suicidio.
Di Eva Wiseman
C’è un uomo che ha preso la lama di un rasoio e con molta attenzione si è praticato uno squarcio longitudinale nel naso. Lo scopo? Rimuovere la cartilagine per sostituirla con quella di un pollo. Così sì che si sarebbe sentito meglio!, pensava. In America, un uomo si è preso a martellate il volto. Qualcuno, addirittura, si è tagliato via le estremità delle dita. Nel mondo ci sono persone che, in bagno, con un coltello in mano, si odiano quietamente. L’autochirurgia è un tratto distintivo della dismorfofobia, un disturbo per il quale si ha una visione distorta del proprio aspetto. Naso e mani sono qualcosa su cui concentrarsi, da odiare.
Tutti, o quasi, si preoccupano del proprio aspetto. Andando al lavoro, siamo distratti dalle superfici riflettenti. Facciamo piccoli aggiustamenti, nascondiamo, rassettiamo. Ci piace essere osservati da prospettive particolari, e giuriamo di odiare le nostre braccia. Ma nel momento in cui queste preoccupazioni diventano ossessione – quando queste preoccupazioni interferiscono con la vita di una persona, quando non si riesce a uscire di casa per guardarsi allo specchio, quando le relazioni si infrangono, il lavoro è a rischio – è in quel momento che si parla di malattia. […]
La Body Dysmorphic Disorder Foundation di Londra ha stilato una lista di personaggi famosi che potrebbero aver sofferto di dismorfofobia, inclusi Andy Warhol, Franz Kafka, Sylvia Plath e Michael Jackson, il cui volto, dopo svariate operazioni chirurgiche, assomiglia a un urlo di Munch. Si ritiene che il 20% delle persone che si sottopongono a chirurgia plastica soffra di questa fobia. Nel 2001, un sondaggio condotto tra i chirurghi plastici degli Stati Uniti ha rivelato che nell’84% dei casi sono stati operati dei pazienti cui in seguito è stato diagnosticato questo disturbo. E in buona parte i risultati non sono stati positivi – il paziente non era soddisfatto. Ci sono casi registrati di pazienti con dismorfofobia.
Ma molti meno sono gli studi pubblicati sul disturbo, in particolar modo sui più giovani. Pochi di quelli che ne soffrono denunciano i sintomi, e non tutti gli psichiatri (per non parlare dei medici di base) sono preparati a individuarli. Spesso i medici che per la prima volta incontrano soggetti dismorfofobici sono i chirurghi estetici. Di rado i pazienti credono di avere un disturbo psicologico – ritengono piuttosto di essere brutti.
Zoe, 19 anni, ha la bellezza sfacciata di una star Disney. Quando […] inizia a descrivere la sua vita, mi ritrovo a cercare sul suo viso quei dettagli che tanto odia. Sono disorientata: ha un volto simmetrico, la pelle liscia, è… “bella”. Zoe aveva 13 anni, la prima volta che un compagno l’ha chiamata “brutta”. Racconta di aver cominciato a «scrutarmi, per migliorarmi e non essere più ridicolizzata a scuola». Ma c’erano dei limiti alle cose che poteva migliorare. «L’abuso verbale era legato al fatto che sono una ragazza di colore. Parlavano dei miei “capelli disgustosi”, cose così. Erano cose che non potevo cambiare». A 14 anni le hanno diagnosticato l’anoressia, e grazie alla terapia ha cominciato prima a migliorare, poi a peggiorare. Anoressia e dismorfofobia, anche se collegate, sono due cose distinte. In genere chi soffre di dismorfofobia non si preoccupa del proprio peso, quanto piuttosto della pelle, dei capelli e del naso (in quest’ordine). E se l’anoressia è più comune tra le donne, la dismorfofobia si ripartisce in modo più omogeneo per sesso e parte del mondo. Ogni lingua, a ben pensarci, ha una parola per “brutto”.
Quando Zoe ha cambiato scuola, ha presentato alla madre un elenco scritto delle operazioni chirurgiche di cui aveva bisogno. Liposuzione, trasferimento di grasso, otoplastica, modifica del mento, un’operazione alle ginocchia. «Era molto aggressiva» dice la madre in tono pacato. «Lanciava oggetti. È stato un periodo buio». Guarda in basso, verso le mani strette al punto tale da essere bianche. Quando Zoe ha scoperto […] la dismorfofobia, aveva 17 anni e non usciva di casa da tre mesi. Nascondeva la faccia con una sciarpa, usava soluzioni acide comprate online per sbiancarsi la pelle. «Mi sentivo intrappolata nel mio corpo» dice. «Era come se la pelle si muovesse. Mi prudeva tutto. Non riuscivo a sentirmi pulita. Passavo ore allo specchio, e dopo un po’ la mia faccia si muoveva da sola». A casa, ha rotto tutti gli specchi. «Digitavo su Google: “i miei amici mentono?”». E sui forum di anoressia trovava conferme. «La gente era d’accordo – dicevano che avevo ragione, che ero brutta, grassa». Nei momenti peggiori, dopo tre ore online e quattro davanti allo specchio, «non volevo più vivere. Perché sapevo che nessuno mi avrebbe mai amato». […]
Una delle cose che più sconvolge […] gli esperti è il ruolo di internet in questi disturbi giovanili. Come Zoe, i pazienti postano foto online chiedendo conferme sul fatto di essere davvero deformi come credono. E nei commenti, rispondono anche chirurghi plastici. Un esperto ha scoperto il sito descrittogli da una paziente: «Le cliniche americane pubblicizzavano alcune procedure suggerite, a una bambina! E lei le leggeva come una prova di non essere dismorfofobica, come una conferma della sua bruttezza».
Su Reddit c’è una pagina chiamata «Sono brutto?». A prima vista sembra la tomba del tatto. «C’è una cosa che mi disturba…» scrive un 21enne di fianco a una serie di selfie. «Sono le ombre. La luce e le ombre. Come faccio a sapere se sono brutto o no in un mondo di luci e ombre in continuo cambiamento? Mi allontano di qualche passo e sono un mostro dalla pelle flaccida».
Qui non ho visto chirurghi plastici pubblicizzare i propri servizi – di solito i commentatori suggeriscono di sorridere di più o di cambiare taglio di capelli – ma ho incontrato post di giovani che ammettono di soffrire di dismorfofobia. Un uomo, Joonas Broodin, che ne soffre da quando ha 12 anni, dice a Vice di frequentare la pagina per averne un sostegno. Dopo aver postato una sua foto, un utente conferma: ha sopracciglia e naso “importanti”. Brodin accoglie volentieri il commento. «Sono grato di sentire la gente parlare di quei dettagli che mi ossessionano da quasi 18 anni» dice. «In passato, quando facevo notare queste cose che mi ossessionavano, la gente mi diceva: “No, a me non sembra, stai bene” e mi sentivo matto e preso in giro… Io vedo solo i dettagli» conclude «mentre gli altri vedono una persona». […]
È difficile stare in una stanza con una ragazza che ti elenca con calma le ragioni per cui si detesta. […]Ma finché prende le sue medicine e usa «gli strumenti che mi hanno dato», incluso «il femminismo, che mi ha dato sicurezza», e la terapia cognitivo-comportamentale, Zoe riesce a vedere un futuro. Vuole fare la designer. «Però voglio vendere solo cose che non rendano insicure le persone». Ridacchia: «È possibile?». Sua madre le mette una mano sulle ginocchia, ed esita un istante prima di dirle di sì.
Eva Wiseman, «The ugly truth about body dysmorphia», The Guardian, 6 marzo del 2016