Di felci, teli da spiaggia e code di cavallo

Nuova Zelanda: la nazione unita sotto un telo da spiaggia?

La Nuova Zelanda è tanto bella quanto isolata. Viviamo a parecchia distanza da tutto e tutti, e ci va bene così. Abbiamo quasi quattro milioni e mezzo di persone e più di cinque milioni di vacche da latte. Abbiamo montagne dalle cime innevate e fitte foreste oscure attraversate dagli hobbit, come si vede negli interminabili film de “Il Signore degli Anelli” diretti da Peter Jackson. Cantiamo (Lorde), recitiamo (Russel Crowe) e lanciamo cose (ovali da rugby).

Raramente il resto del mondo fa caso al nostro Paese, ma questo mese chiunque – be’, qualcuno – sembra farci caso. Il nostro accogliente arcipelago verde sta andando alle urne per un referendum nazionale con il quale decidere se rimuovere o meno la nostra attuale bandiera e sostituirla con qualcosa che assomiglia vagamente a un telo da spiaggia.

La nuova bandiera – un ramo bianco di felce su sfondo nero e blu – sembra allegra e spensierata, a differenza del nostro primo ministro, John Key. Il leader del governo neozelandese possiede invece un fascino floscio e superficiale. Lo scandalo principale riguardante questo tizio esplose quando una cameriera raccontò al mondo della sua strana, compulsiva abitudine di tirarle i capelli (a coda di cavallo) ogni qualvolta entrava nel suo locale.

A differenza della bandiera, il primo ministro ha l’appoggio degli elettori: ha vinto le ultime tre elezioni. Key è un sostenitore del cambio di bandiera. È la sua passione, il suo grande progetto. Ma qui sono in molti a odiare l’idea – è in carica da quasi otto anni, e tutto quello che ha prodotto è questa bandiera orrenda? – e si augurano soltanto che la questione si chiuda in tempi brevi. Andrà proprio così: il referendum, aperto il 3 marzo, si chiuderà il 24 marzo.

L’attuale bandiera neozelandese fu adottata nel 1902. Sventola sopra il nostro parlamento, e i nostri atleti olimpici la rappresentano quando gareggiano. Sotto la bandiera abbiamo combattuto due guerre mondiali e tuttora la portiamo nelle cupe sfilate mattutine che si tengono in tutto il Paese per commemorare chi morì in battaglia, tramite cerimonie commoventi che si concludono con la frase “Li ricorderemo”. Questi sono i legami che i neozelandesi vogliono mantenere.

Ma in un angolo della bandiera è raffigurata la Union Jack, un riferimento al nostro status passato di colonia britannica. I critici – Key e altri ancora, sebbene non siano tantissimi – sostengono si tratti di un anacronismo. È la felce argentata il nostro vero simbolo nazionale, un emblema della natura, esposto con orgoglio dai semidèi della nostra nazionale di rugby, gli All Blacks.

Non è un’idea del tutto malvagia quella di avere una nuova bandiera, o di inserire una felce argentata. Ma il modo in cui Key e il comitato di riflessione sulle bandiere – il comitato di riflessione sulle bandiere! – hanno approcciato la questione è davvero del tutto malvagio.

Innanzitutto è stato chiesto alla popolazione di disegnare una nuova bandiera. Il comitato ha ricevuto 10.292 progetti e in seguito ha selezionato 40 potenziali concorrenti prima di ridurli a cinque. Key si è dilungato sulla sua volontà di avere una felce argentata. Tre delle cinque bandiere finaliste contenevano – ohibò! – una felce argentata, e due erano state ideate dalla stessa persona, Kyle Lockwood, i cui progetti apparivano tutti uguali tra loro. Una nazione sotto due teli da spiaggia.

Da quando è stato eletto primo ministro nel 2008, Key ha goduto in genere di un sostegno particolarmente ampio da parte della popolazione. Non ha mai ricevuto critiche. Tirava code di cavallo, e il pubblico diceva “E quindi?”. Ma l’appoggio non è mai arrivato sulla questione della bandiera. I sondaggi hanno sempre mostrato una grande preferenza per la bandiera attuale.

Bisogna anche considerare i costi del progetto. Il governo ha speso circa 25,7 milioni di dollari neozelandesi per chiedere al pubblico di cambiare una bandiera che nessuno voleva cambiare. La consegna postale delle schede per il referendum è stata la spesa principale, con 17,3 milioni di dollari neozelandesi. La cifra fantasticamente precisa di 208.500 dollari neozelandesi è stata spesa per inviare il comitato di riflessione sulle bandiere – il comitato di riflessione sulle bandiere! – in giro per il Paese e tenere “seminari pubblici” senza che la popolazione fosse davvero interessata a partecipare.

Si sono tenuti 25 incontri pubblici. La media dei presenti è stata di 30 persone. All’incontro di Christchurch si sono presentate dieci persone, a quello di New Plymouth otto. A dire il vero, entrambe le città offrivano attività alternative in quelle serate, come ad esempio stare a casa e fissare il muro. Per quanto riguarda i membri del comitato, ognuno di loro ha ricevuto 640 dollari neozelandesi al giorno. Il presidente, John Burrows, un professore di diritto, chiaramente un essere superiore, ha guadagnato 850 dollari neozelandesi al giorno.

Uno dei due teli da spiaggia con le felci argentate, ideati da Kyle Lockwood, ha conquistato il voto del pubblico e andrà testa a testa con la bandiera attuale. Chi vincerà il referendum? Sarebbe patetico dire che la risposta è incerta, perché sembra invece essere piuttosto scontata. Da un recente sondaggio è emerso che il 63% vuole mantenere la bandiera attuale. Il primo ministro Key si starà strappando i capelli. I suoi, o quelli di qualcun altro.


Steve Braunias, «New Zealand: One Nation Under a Beach Towel?», The New York Times, 10 marzo 2016

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