Architettura per Sordi

L’architettura per sordi fa bene anche agli udenti

Gli architetti che hanno lavorato per un’università americana per sordi non riescono più ad abbandonare la “progettazione sorda”.
Di Bastiaan Nagtegaal

«Questo non è Sordo» si dicono gli architetti di DKA quando notano che qualcuno ha piazzato un pilastro in mezzo a uno spazio ampio. Dopo aver lavorato per l’università per sordi di Gaulladet (Washington D.C.), la progettazione di DeafSpace, spazi sviluppati appositamente per sordi e ipoudenti, è diventata una seconda natura. “Non Sordo” è diventato più o meno un sinonimo di “progettato male”. Tutti, udenti compresi, si sentono più a loro agio in un ambiente “Sordo”, come si vede in un breve documentario di Vox.

Parlano di Sordi, con la maiuscola. Le persone con un deficit uditivo non sono soltanto accomunate da uno stesso problema, ma condividono anche un’identità culturale. In realtà non dovremmo nemmeno parlare di deficit, sostiene Derrick Behm, che lavora per la sezione che nell’università si occupa della progettazione e dell’arredamento del campus. A suo avviso gli architetti potrebbero imparare molto dalla progettazione Sorda:

«Si parla spesso di “perdita dell’udito”. È un approccio che si basa su una prospettiva negativa. Immaginatevi un bambino sordo dalla nascita – lo si descrive comunque come un bimbo con problemi uditivi. Noi proponiamo invece un’altra prospettiva: il guadagno della sordità. Cosa possiamo ricavare dall’esperienza dell’essere e del diventare sordi?»

Gli architetti hanno dovuto stravolgere il loro modus operandi per la Gallaudet, spiega Hansel Bauman, a capo della sezione progettazione e arredamento. Si deve riflettere in modo molto più consapevole sull’interazione tra le persone. Per esempio, gli studenti disposti in fila dietro i banchi di scuola, uno dietro l’altro, non possono vedere i gesti di chi li circonda. Riflessi e bagliori fastidiosi possono causare problemi simili:

«In un certo senso, questo rovescia l’intero processo di progettazione, poiché ora rifletti su un edificio sedendo attorno a un tavolo».

Ma in DeafSpace non contano solo le linee visive. Anche le vibrazioni, i passaggi di luce, le scelte dei colori e perfino l’acustica hanno un ruolo importante. Qui trovate il breve documentario di Vox:


Bastiaan Nagtegaal, «Hoe architectuur voor doven ook goed is voor horenden», NRC Handelsblad, 4 marzo 2016

4 commenti Aggiungi il tuo

  1. wellentheorie ha detto:

    È davvero interessante questa cosa! 🙂

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    1. francescopanzeri ha detto:

      Vero? Anche a me è sembrata degna di traduzione e pubblicazione 🙂
      ps: hai voglia di collaborare alla recensione di Mattatoio n°5?

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    2. wellentheorie ha detto:

      Sì, molto volentieri! Come agiamo? 🙂

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    3. francescopanzeri ha detto:

      Dammi un recapito mail! Oppure scrivimi tu a fnc.panzeri@gmail.com

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