Europa – Il continente fragile
Viaggio in sette tappe
Di Alexander Smoltczyk
RIGA
Nord e sud. Il laterizio di Riga fa da contrappeso al calcare conchilifero di Montpellier e Cordoba o al travertino romano. La pavimentazione in granito di Riga è consunta e così ondulata che a ogni passo bisogna ritrovare l’equilibrio, tra le lucenti rotaie del tram e le grida dei gabbiani onnipresenti nel centro storico. Su questa pavimentazione due secoli fa camminava il conte Hardenberg, qui scriveva il suo memorandum Sulla riorganizzazione dello Stato prussiano, redatto su ordine di Sua Maestà il Re.
A Riga, protetto dal despota Bonaparte, poteva scrivere di «una rivoluzione nel senso positivo del termine», «indirizzata al grande scopo della sublimazione dell’umanità, attraverso la saggezza del governo e non solo l’impulso violento dall’interno o dall’esterno».
«La verità non sopporta belletti» scriveva Hardenberg. «La verità deve incutere timore» dice Galina Timshenko. «Timore e rispetto». Ecco perché il suo giornale online l’ha chiamato Medusa, come la semidea greca dalla testa cinta di serpenti.
Dato che nella sua patria, la Russia, la verità non è rispettata, Galina Timshenko ha trovato rifugio a Riga. Dal margine sicuro dell’Europa invia notizie in Russia. Nella vaga speranza che Vladimir Putin si trasformi in pietra dalla vergogna, quando si trova davanti la verità senza belletti.
Anche la Russia fa parte dell’Europa, solo che ne vuole sapere poco o niente. «A pochi dei nostri lettori è chiaro che non siamo a Mosca» dice Timshenko.
Lei e la sua redazione – barbuti quattrocchi con avanbracci tatuali davanti a dei Mac, che in buona parte devono il loro inglese a film DVD copiati per pochi spiccioli – hanno il loro quartier generale nell’ex appartamento di un ex campione mondiale di scacchi. Sette stanze in un appartamento cittadino anseatico con parquet a spina di pesce per 800€ mensili di affitto. In soli due giorni si può fondare una ditta a Riga. Ma soprattutto: «Qui non dobbiamo temere che lo Stato cambi le regole sotto la pressione degli oligarchi. Non è come negli anni ’20. Non siamo in un altro mondo, qui». Riga non è, secondo lei, così diversa da Mosca o San Pietroburgo, «solo collegata meglio». Ecco perché lei è qui.
«L’Europa è come da noi. Ma le cose funzionano meglio». Bisogna spingersi a nordest, tra le case anseatiche di laterizio delle Repubbliche baltiche, per sentire questa frase.
Al centro di Riga, nel quartiere Maskavas Forstate [sobborgo moscovita, N.d.T.], c’è un muro in pietra. Con migliaia di nomi familiari. Mira Sigelbaum, Musus Sigelbaum, Benjamin Silbermann, Israel Silberbrand, Jette Silber, Joseph Silber e così via.
Un continente difficile. Anche a Bruxelles c’era un cartello alla memoria. E a Creta, così come su ognuna delle isole greche, anche la più piccola. Ovunque, targhe, lapidi commemorative, tombe. Ovunque, scritte con nomi e parole familiari. Nessuna nuova terra. Eravamo già qui. E torniamo a desiderare che l’Europa sia un grande MaiPiù, e avvertiamo che sul continente grava una colpa che non ha nulla a che vedere con i miliardi di euro.
MARSIGLIA
Il battito delle sartie in acciaio sui masti, il gioco di ombre sulle cortecce dei platani, una luce che fa strizzare gli occhi. Lo stesso sole in Algeria e a Marsiglia, la stessa luminosità, lo stesso anti-granito. Ma anche qui un “memoriale dei lager della morte”. Direttamente vicino al nuovo e luccicante Museo delle civiltà dell’Europa e del Mediterraneo.
Che continente. Marsiglia è stata la capitale europea della cultura nel 2013. Ora il Fort Saint Jean al porto è diventato un museo culturale, dove si spiega come “cereali, monoteismo, diritti civili, viaggi e scoperte” siano le grandi caratteristiche di questa civiltà. L’Europa, questo il messaggio, è il Mediterraneo, fin dall’inizio, fin da quando Zeus si è preso la sua principessa levantina.
Con il museo del Mediterraneo, la città di droga e delinquenza si è data un nuovo volto. Un tram ha civilizzato il traffico automobilistico attorno al Canebière. Totalmente fallito, invece, il tentativo di far sparire i poveri dal centro storico nel segno della cultura europea. Nel Cours Belsunce il mondo va avanti comunque. Malesi con cappelli di lana sono accucciati sulla pavimentazione, mama nere con codini alla Medusa, una pensionata con collant di nylon strette, «La pago dopo la pizza, momo». Momo per Mohammed.
In un solo angolo così tante differenze che sarebbe assurdo preoccuparsene. Una comunità di poveri, di maestri nell’arte di vivere, signore dei cani e chi se la cava alla bell’e meglio, fanfaroni, bari, puttane e bellezze, il perdente orgoglioso, la faccia da schiaffi e il genio di nicchia. Può darsi che il calore dell’immagine abbellisca la luce e le facciate troppo vissute. Ma anche questo è un sogno dell’Europa.
Nel vecchio porto c’è la libreria “L’Odeur du Temps”. È gestita da Roland Alberto, il figlio di un muratore italiano così arido che potrebbe sopravvivere settimane intere con una scaffalatura di libri e una sigaretta elettronica.
Alberto ha studiato filosofia tedesca e ha allestito il suo negozio di libri secondo i principi di Gottfried Wilhelm Leibniz: «Un minimo per gli elementi e un massimo per le possibili correlazioni».
Qui Eça de Queiroz è vicino a Petrarca e la nuova uscita della rivista Esprit vicino a Habermas, l’ultimo filosofo. È il centro della terra, questo luogo. Eppure il libraio non si azzarderebbe mai a professarsi “Europa”. Zeus non ha forse detto tutto sull’argomento? “Fuck Europa”.
Roland Alberto dice: «Amo le Alpi, non il continente. L’Europa sono le Alpi, no?». Poi racconta della bohème artistico-letteraria di Marsiglia. Del suo amico Mika Biermann, tedesco, che ha imparato il francese nei ghetti del nord e adesso – in francese – ha pubblicato il suo sesto romanzo. Con la Pol, una delle case editrici letterarie di riguardo del Paese. Così come ci sono transgender, ci sono anche transnazionali. Persone che all’improvviso capiscono di essere nate nel luogo sbagliato. A volte troppo tardi, ma sempre senza dubbio. Sanno che appartengono a Cordoba, Finlandia o Cork e non a Bielefeld.
E se ne vanno. La lingua straniera vola loro incontro, i loro gesti e movimenti cambiano, alcuni dopo un po’ pensano più maiorchese di uno spagnolo, più tedesco di un tedesco, cominciano a sentirsi bretoni anche se sono nati a Sindelfingen o Łódź.
L’Europa è qui per questi transnazionali. Permette di essere qualcun altro senza rinunciare alla sicurezza sociale. Da quando c’è l’UE, è più semplice essere qualcun altro.
È indifferente dove inizia il viaggio, è indifferente dove finisce. Si può pensare all’Europa da Roma o da Atene. O da un appartamento sulle rive del Danubio, dove una vecchia signora arrota la R in quattro lingue. L’Europa è la sicurezza cittadina nelle mura in laterizi di Riga. È il porto aperto di Marsiglia, l’amore millenario per il sud, non solo a Creta. È il compromesso di Bruxelles e la citazione di Spinoza a Budapest. In Polonia, Lettonia e Ungheria, l’Europa viene presa per una Zecca, in Grecia la si sente come servitù degli interessi, a Londra la si deride. Tutto insieme. L’Europa costa ed è faticosa. L’Europa è un museo, troppo ingombrante e complicato, ed è un luogo in cui i giovani russi si prendono la libertà che vogliono.
L’Europa è Babilonia e Lampedusa ed Eldorado. È una sola pretesa, una delusione, con vane parole e non-papers, lobby nazionalisti, proposte del Consiglio, progetti della Commissione. L’Europa è tutto questo e in dosi massicce. Estremamente preziosa, ahimè ferita ed estremamente fragile.
Alexander Smoltczyk, «Europa – der zerbrechliche Kontinent EINE REISE IN SIEBEN STATIONEN», Der Spiegel,
Fotocredits: Alexander Smoltczyk, Justin Jin/DER SPIEGEL, AFP, AP, Corbis, dpa, Getty images, imago, imago/Westend61, Reuters