Nobel per la fisica 2015: i neutrini che hanno salvato il mondo
Il premio è andato alla scoperta di una proprietà dei neutrini che ci ha sollevato dalla preoccupazione di una morte gelida per il nostro pianeta.
Di Stuart Clark
Gli astronomi lo avevano definito il “problema dei neutrini solari”. Ma era ben più di un problema. La sua scoperta sul finire degli anni ’60 implicava che il sole sarebbe potuto morire. E se il sole si fosse spento, lo stesso sarebbe accaduto alla vita sulla Terra. Per fortuna, però, gli ultimi vincitori del premio Nobel per la fisica, Takaaki Kajita e Arthur B. McDonald, hanno affrontato – e vinto – queste preoccupazioni.
In passato era stato teorizzato che il sole fosse alimentato da reazioni nucleari che producono neutrini. I modelli teorici davano una previsione del numero di neutrini prodotti e verso la metà degli anni ’60 due fisici, Raymond Davis Jr e John Bahcall, si erano assunti la sfida di cercare di individuarli.
I neutrini sono particelle estremamente poco reattive. Davis e Bahcall hanno calcolato di poter rilevare un neutrino al giorno dei 10 milioni di miliardi che si riteneva provenissero dal sole.
Per rilevatore avevano un serbatoio cilindrico di 20 piedi di diametro e 48 piedi di lunghezza (6m x 14,6m), contenente 100.000 galloni (455.000litri) di tetracloroetilene, che altro non è se non un liquido per la pulitura a secco. Un neutrino, interagendo con un isotopo specifico di questo liquido, lo avrebbe trasformato in un isotopo di argon radioattivo.
I due fisici hanno lasciato che l’argon si accumulasse per un mese o due, poi l’hanno raccolto investendo il liquido con getti di elio. Per finire, ne hanno misurato la reattività per determinare quanto argon si fosse creato.
Da un certo punto di vista, il loro esperimento è stato un trionfo: avevano identificato i neutrini solari. Non c’erano più dubbi sulla natura del sole di reattore nucleare. D’altro canto, però, il numero di neutrini identificati era un terzo di quanto si aspettavano, e questo era una grande fonte di preoccupazione.
Benché occorrano centinaia di migliaia di anni perché l’energia creatasi nel nucleo del sole risalga in superficie e raggiunga la Terra, i neutrini sono i primi ad emergere. Quindi la luminosità del sole testimonia le feroci reazioni nucleari che si sono verificate migliaia di anni fa. I neutrini invece ci raccontano quali reazioni hanno luogo oggi – e stando ai risultati ottenuti, il ritmo attuale e quello passato erano chiaramente diversi.
La spiegazione più ovvia era che le reazioni nucleari del sole si fossero ridotte a un terzo di quelle iniziali. Non era immediatamente chiaro quando, dato che le antiche radiazioni stavano ancora filtrando all’esterno, ma a un certo punto, nei prossimi centomila anni, la luminosità del sole sarebbe diminuita, e per la Terra questo avrebbe significato una morte gelida e prematura. L’unico raggio di speranza era scoprire un punto debole nella nostra comprensione del comportamento dei neutrini.
Si era sempre dato per scontato che i neutrini fossero particelle essenzialmente prive di massa, come i fotoni che trasportano la luce. Eppure se i neutrini avessero una massa anche piccola, sarebbe possibile che ne esistano tre forme diverse, e che solo una delle tre sia quella individuata da Bahcall e Davis nel loro esperimento. Il fatto che i neutrini “oscillino” tra questi diversi tre stati ne potrebbe spiegare la riduzione a un terzo?
Ebbene sì, ed è proprio per questo che Kajita e McDonald sono stati insigniti del premio Nobel 2015 per la fisica: usando sofisticati rilevatori di neutrini in Canada e Giappone hanno confermato questa tesi. E dimostrando che le reazioni nucleari del sole non si stavano riducendo, hanno salvato il nostro mondo da una morte gelida (più o meno).
Stuart Clark, «Nobel prize for physics 2015: how neutrinos saved the world», The Guardian, 6 ottobre 2015