Presidenziali USA? Una specie di X-Factor

I candidati alla presidenza: una androide, un neurochirurgo creazionista e un gatto post-orgasmo

Le elezioni USA assomigliano un po’ a X-Factor – nei primi round mettono qualche outsider per intrattenere il pubblico, ma presto resteranno due candidati che urleranno le solite vecchie litanie

Di Frankie Boyle

Hillary Clinton, Ben Carson and Donald Trump
Da sinistra: Hillary Clinton, Ben Carson e Donald Trump (Getty Images/Rex)

L’infinita corsa alle presidenziali statunitensi è cominciata. Queste saranno le prime elezioni presidenziali da quando i limiti ai finanziamenti delle campagne politiche sono stati ulteriormente allargati: una scelta basata sulla «libertà di espressione», compiuta quando la corte suprema ha deciso che l’impossibilità dei fratelli Koch di dire «il Presidente è roba nostra» infrangeva i loro diritti in base al primo emendamento. A mio avviso, Obama si sentirà piuttosto solo alla fine, anche perché ha permesso che la polizia ammazzasse la maggior parte delle altre persone di colore.

Le differenze tra i candidati sono in genere così marginali che il pensiero del principale candidato democratico è pressoché lo stesso del suo omologo repubblicano quando quest’ultimo si ricorda di prendere le sue pillole. Ma andando contro le abitudini Bernie Sanders – un socialista della vecchia guardia – ha ottenuto una certa credibilità per la nomination democratica solo grazie al crowdfunding. Spero davvero che vinca, anche solo perché così vedremmo il primo discorso di insediamento fatto dentro un’enorme palla per criceti antiproiettile. Il favorito tra i democratici è Hillary Clinton, una bambola troll dalla chioma d’acciaio e senza scrupoli. Il suo è il volto che perseguiterebbe i sogni di moltissimi libici, se questi ultimi fossero ancora vivi. Purtroppo per i suoi sogni di gloria, Hillary non è mai riuscita veramente a inserire lo humour o la compassione nel suo tono di voce, e quando va bene sembra una androide che cerca di attirare l’ultimo essere umano fuori da un bunker.

Nel dibattito repubblicano di qualche giorno fa, i candidati hanno accusato la CNBC di essere troppo liberale. Una chiave di lettura potrebbe essere che i candidati repubblicani sono così di destra da far sembrare liberale un colosso dei media. Non dimentichiamo che il messaggio essenziale di un candidato repubblicano è difficile da far passare. Ami l’America, ma odi tutti i gruppi che costituiscono l’America. Ami la democrazia, ma odi la gente. Probabilmente Donald Trump, che nella migliore delle ipotesi assomiglia a uno scarico in una riserva di oranghi, corre per la presidenza solo perché questa dimensione non ha un Superman a cui dare filo da torcere. I suoi capelli, una specie di gatto trasandato post-orgasmo, sono forse uno dei suoi aspetti meno strani. Non ha carisma, né acume, e ha enormi difficoltà ad articolare un discorso: il pubblico statunitense si è subito identificato in lui. Sembra che l’elettorato, forse stanco del buonsenso, stia seriamente pensando a togliere di mezzo l’uomo medio e eleggere direttamente un uomo d’affari, in piena sindrome di Stoccolma.

La vecchia politica è noiosa, e cosa potrebbe essere più divertente dell’elezione di un uomo che potrebbe dichiarare guerra per via marina? Il suo piano di costruire un muro gigante sul confine tra USA e Messico è divertente, anche perché sarebbe interessante vedere come reagirebbe all’astinenza da cocaina una nazione imbottita di armi come l’America. Chissà perché, mi immagino sempre Trump trascorrere le serate con la fronte schiacciata sul freddo vetro di un acquario, conversando telepaticamente con il calamaro albino in cui ha nascosto la sua anima.

Già, l’intero parterre repubblicano mette a repentaglio le nozioni convenzionali di sanità mentale. Attualmente in testa ai sondaggi c’è Ben Carson, un neurochirurgo che per caso è pure Avventista del Settimo Giorno e creazionista. I creazionisti mi hanno spesso fatto dubitare sull’evoluzione, ma non nel modo che pensano loro. Il suo programma fiscale si basa sulle decime bibliche: Carson sfrutta le teorie economiche di persone il cui PIL era un vitello d’oro.

Perché entrambi i partiti accusano di parzialità dei media palesemente servili? Forse è perché la classe politica prova un disprezzo istintitivo quando si tratta di chiedere al pubblico di decidere qualcosa di significativo, come la politica. Quindi le campagne sembrano essere composte quasi solamente da messaggi simbolici sulla speranza, sul lavoro o su qualsiasi altra merda di cavallo che funziona nei sondaggi. La maggior parte delle spese delle campagne elettorali va in pubblicità (il 65% delle spese di Obama per la sua seconda campagna è legato ai media) e le pubblicità parlano per simboli. Di conseguenza i partiti potrebbero effettivamente prendere le distanze da ogni tipo di pensiero razionale, giacché ciò che dicono non ha (e non può avere) alcun senso. O forse la realtà di ciò per cui votano è qualcosa che nessuno osa esprimere. Votano per una deriva che porterà a un futuro di eserciti gestiti da grandi società che terranno rinchiuse intere comunità nomadi di cuochi, addetti alle pulizie e prostitute, mentre si contendono l’accesso a comunità esclusive per assicurarsi la possibilità di assistere i più fortunati. Un futuro in cui la ricerca della felicità avrà tanto senso quanto una spedizione per raggiungere l’orizzonte.

Certo, può darsi che le elezioni siano un po’ come X Factor, in cui all’inizio mettono alcuni pazzi per farci appassionare a qualcosa di cui – avevamo promesso – non ci saremmo più interessati. Alla fine resteranno come sempre due marionette che urleranno le solite vecchie litanie. E non importa quanto squallida sarà la scelta, alla fine avremo sempre una preferenza. Clinton offrirà un’ampia lista di nemici da uccidere e tribunali segreti, e il suo primo discorso sulla Palestina sembrerà scritto da Hulk. Un sacco di persone, per il resto perfettamente razionali, pregheranno affinché sia lei a vincere.


Frankie Boyle, «Your choices for president: an android, a creationist neurosurgeon or a postcoital cat», The Guardian, 3 novembre 2015

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