Il recupero di Charlie Hebdo dopo gli attacchi apre nuove ferite tra il suo staff
Di Nicola Clark
PARIGI – A qualche giorno di distanza dall’irruzione nella sede della rivista satirica Charlie Hebdo, il 7 gennaio, quando due persone armate uccisero diversi colleghi e amici, Laurent Sourisseau si mise a sedere sul suo letto di ospedale e cominciò a disegnare.
Un proiettile gli aveva devastato la scapola destra, immobilizzando il braccio usato per disegnare. Ma mentre gli agenti di polizia sorvegliavano l’ingresso della camera, il fumettista, noto con il nome d’arte di Riss, abbozzò una serie di caricature tremolanti con la mano sinistra.
I disegni – due dei quali furono pubblicati nell'”edizione dei sopravvissuti” uscita una settimana dopo gli attacchi – erano contraddistinti da un tratto esitante, certo, ma anche dal consueto tono irriverente.
«Venticinque anni di lavoro per lavorare a Charlie Hebdo,» recitava la didascalia, «per essere un terrorista bastano venticinque secondi». Quindi i terroristi venivano descritti come pigri branleurs, ovvero idioti, ma con un termine più colorito.
Negli oltre nove mesi trascorsi da allora, Sourisseau, 49 anni, ha riguadagnato l’uso del braccio quasi del tutto. Ha ripreso a disegnare con la mano destra e, nonostante ora sia più soggetto a stanchezza, ha rilevato la carica di direttore editoriale dall’amico assassinato Stéphane Charbonnier. Ma per lui e i colleghi superstiti, le ferite fische provocate dagli attacchi sono state, per molti versi, le più semplici da sanare.

La sfida più sconcertante, ha dichiarato Sourisseau in una recente intervista, è stato il doversi adattare alla fulminea trasformazione di Charlie Hebdo da rivista di nicchia, relativamente sconosciuta, a simbolo internazionale, celebrato dai paladini della libertà di espressione. Il suo personale, una ventina tra autori e fumettisti che in precedenza godevano di un certo anonimato, si è trasferito questo mese in un nuovo ufficio-bunker con vetri antiproiettile, una camera blindata e un labirinto di porte d’emergenza – misure di sicurezza del valore di 1,5 milioni di euro. Tutto lo staff vive sotto scorta, sorvegliato 24 ore su 24.
Un fatto ancora più problematico, è che la solidarietà che un tempo univa l’affiatato staff di Charlie Hebdo ha mostrato alcune crepe, causate dal trauma degli attacchi e dal disaccordo su come dividere il nuovo patrimonio della rivista. Il boom di abbonamenti e vendite in edicola ha portato diversi milioni nelle casse del giornale, ma ha anche portato ad aspri scontri interni su come – e in quale misura – i proventi dovessero venire reinvestiti nella rivista o distribuiti alle famiglie delle vittime.
«È stata una doppia punizione»: così Sourisseau, ex dipendente delle ferrovie dai modi educati, ha descritto le tensioni che hanno interessato Charlie Hebdo negli ultimi mesi. «Quando ho lasciato l’ospedale, pensavo ingenuamente che ci saremmo messi tutti a lavorare insieme come prima. Non pensavo che ci avrebbe atteso un caos simile».
Mentre Sourisseau, che ora detiene il 65% di Charlie Hebdo, ha provato a smorzare i toni, altri membri dello staff hanno dato sfogo alle loro emozioni. Alcuni hanno chiesto apertamente che lui e l’altro proprietario della rivista, il direttore finanziario Éric Portheault, rinunciassero ai futuri guadagni derivanti dalle loro partecipazioni e trasformassero Charlie Hebdo – che è sempre stato amministrato da alcuni dipendenti – in una specie di cooperativa no-profit. Altri hanno scelto di lasciare la rivista, spiegando come l’assenza degli amici scomparsi avesse reso il lavoro troppo difficile.
Rénald Luzier, fumettista noto come Luz, il cui disegno di un Maometto in lacrime che reggeva un cartello con scritto “Je suis Charlie” era apparso sulla copertina del primo numero dopo gli attacchi, ha lasciato la rivista a fine settembre. «Passare notti insonni a evocare i morti» è stato spossante, dichiarò Luzier a maggio al quotidiano Libération.
Patrick Pelloux, editorialista per più di un decennio, ha annunciato a sua volta che si sarebbe dimesso a fine novembre.

«Mi sento molto indebolito, esausto» ha dichiarato Pelloux in un’intervista. «Il giornale che conoscevo è finito» ha detto. «Rispetto chi ha la forza di proseguire. Ma per me non è più possibile».
Per Gérard Biard, 56 anni, direttore di Charlie Hebdo, la perdita di gran parte del talento del giornale è stata straziante, così come lo è stata l’esperienza di riunirsi e ripartire con gli occhi dei media francesi puntati addosso, a suo avviso una specie di «reality show».
Il personale della rivista, ha dichiarato Biard, è sempre stato composto da personalità forti. «Charlie Hebdo è un giornale in cui la gente si urla in faccia. A cambiarci è stata la violenza, il trauma collettivo che abbiamo subito, a cui ognuno reagisce in modo diverso».
(continua)
Nicola Clark, «Charlie Hebdo’s Recovery From Attacks Opens New Wounds for Staff», The New York Times, 24 ottobre 2015
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