Per fortuna c’è il niqab

Per fortuna c’è il niqab

La settimana scorsa il Blocco del Québec ha diffuso un’odiosa clip sul niqab. In questo cartone animato, una goccia di petrolio cade da un oleodotto, e nel cadere a terra assume la forma di un niqab.
Di Pierre Asselin

Québec – Davvero un modo nobile di aiutare le donne, quello di associarle a qualcosa di sporco, giusto per ostracizzarle un po’ di più. Senza parlare dell’assurdità di un partito indipendentista che fa del giuramento di lealtà alla regina d’Inghilterra il suo cavallo di battaglia. Ma siamo in periodo di elezioni, e questa clip è stata visualizzata più di 110.000 volte. Un successo che è una manna dal cielo per il Blocco del Québec, così come per il Partito conservatore.

Il caso è stato riaperto la settimana scorsa, quando la Corte d’Appello federale ha confermato il giudizio di primo grado che invalidava la direttiva ministeriale con la quale si impedisce alle donne di prestare giuramento con il volto coperto.

Il Governo ha annunciato in tutta fretta che porterà in appello la decisione presso la Corte Suprema. E, se verrà rieletto, si impegna a rilanciare il progetto abortito della legge C-75 che vieta appunto questa pratica.

Nel dibattito che non serve ad altro se non a guadagnare voti, tutto è deformato, esagerato. Se il Partito conservatore si preoccupa tanto della condizione femminile – e non solo delle donne che portano il velo – perché ha meno del 20% delle candidate alle elezioni? Non sarebbe più importante aumentare la loro presenza in Parlamento, invece di preoccuparsi di quello che indossano per prestare un giuramento di un minuto?

Credete che sia un dibattito incentrato sull’oppressione delle donne da parte di un Islam integralista? Sull’aumento dell’islamismo radicale in Canada? Sull’importanza del giuramento prestato dalla cittadinanza?

No.

Il dibattito verte su ben altro. Il ministro può cambiare la legge con una semplice direttiva? La risposta è no. Il regolamento attuale dice che il giudice deve accordare «la maggiore libertà possibile per ciò che concerne la professione di fede religiosa dei nuovi cittadini».

Solo il Parlamento può cambiare la legge, ovviamente. Per modificare una legge, occorre adottarne una nuova. Il tutto è così evidente che la Corte d’Appello federale ci ha messo poco per prendere una decisione. E la sua motivazione riempiva una paginetta o poco più.

Allora perché tutto questo scalpore?

Perché paga, in termini politici.

Un sondaggio condotto poco dopo l’attentato di Charlie Hebdo chiedeva ai canadesi di stimare in percentuale quanta popolazione era di religione musulmana. La stima media è stata di circa 20%, mentre i musulmani in Canada rappresentano solo il 3% della popolazione. La gente vede il problema più grave di quanto sia in realtà, ed è un filone da sfruttare per i partiti. Un altro sondaggio mostra che l’81% dei membri del partito Blocco del Québec e 87% dei membri del Partito conservatore ritengono che indossare il niqab durante la prestazione di giuramento dovrebbe essere vietato. È una “battaglia” che piace alla loro base elettorale, insomma.

Se non fosse che è inutile. Secondo quanto presentato nella causa in questione, non ci sarebbero che un centinaio di casi ogni anno su più di 150.000 giuramenti. Vale a dire circa una ventina di casi al massimo per provincia.

Ma c’è di peggio: prima della direttiva emessa da Jason Kenney, una disposizione permetteva alle donne che portano il niqab di prestare giuramento in una cerimonia individuale, a volto scoperto, davanti a un’altra donna. Era una soluzione semplice per un problema marginale. La direttiva l’ha cancellata. Il ministro Kenney, in definitiva, ha creato un problema da zero, validando quelle condizioni in cui le donne devono rifiutarsi di togliere il velo. E il Blocco del Québec applaude.

La politica può e deve fare meglio di così.


Pierre Asselin, «Heureusement qu’il y a le niqab», Le Soleil, 23 settembre 2015

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