La superpotenza sovietica: perché la Russia ha le più belle fermate degli autobus
Gli architetti si saranno anche sentiti soffocare nel loro estro creativo durante il vecchio impero sovietico, ma c’è un posto in cui la loro immaginazione è stata incoraggiata ad andare a briglia sciolta: la fermata degli autobus. Il fotografo Christopher Herwig ha percorso 30.000km per immortalare la loro strana bellezza.
Di Oliver Wainwright
In Europa occidentale, le fermate degli autobus sono costruzioni umilissime, strutture che pur con la loro utilità non aggiungono poco o nulla alla strada. Nel vecchio impero sovietico, però, dalle coste del Mar Nero alle steppe kazache, la norma è «il selvaggio spinto», come scrive Jonathan Meades in uno splendido fotolibro in cui 159 fermate dell’autobus esemplificano «il gusto sovietico per il fantastico più smodato».
Così come le follie inglesi del XVIII secolo erano abbozzi di futuri stili architettonici, forse alcuni di questi padiglioni ai margini della strada erano esperimenti per qualcosa di più grande. Si trattava di opportunità per scultori, architetti e costruttori locali per tenere in esercizio il loro muscolo creativo – e l’hanno fatto, eccome!
Soviet Bus Stops, del fotografo canadese Christopher Herwig e con una prefazione di Meades, è un fiorire di piramidi, archi, cupole, volte e strutture improbabili che sembrano stare in piedi solo grazie alle spesse pennellate di vernice divise su svariati strati. Dal tetto arrugginito in lamiera ondulata su una panchina solitaria in Armenia, alle costruzioni grondanti ceramica delle coste dell’Abkhazia, sono stati esplorati tutti i possibili stili architettonici e capricci estetici, con l’unico limite dell’immaginazione del progettatore e dei materiali su cui poteva mettere le mani.
Il progetto ha avuto il via nel 2002, quando Herwig ha deciso di andare in bicicletta da Londra a Stoccolma per vivere con la sua ragazza. «Portare una bici su un volo Ryanair» spiega «sarebbe costato quattro volte di più del posto a sedere». Quando è partito, si è posto una sfida: fotografare qualcosa di interessante ogni giorno. Un elemento ricorrente sulla strada ha attirato la sua attenzione, e così è iniziata una ricerca ossessiva. «Solo quando sono arrivato nei Paesi baltici» racconta «mi sono saltate all’occhio. È stato nei primi 50km della Lituania che ho notato un po’ ovunque queste fermate dell’autobus così particolari».
Le prime erano cubi di cemento aperti sul davanti e dipinti a tinte pastello, che somigliavano a casette di bambole. Spesso erano rialzati dal terreno e accessibili con una piccola gradinata, che dava un che di cerimoniale all’attività terrena di aspettare il pullman. Più Herwig si spostava, più le fermate si facevano eccentriche, con tetti dalle travi a sbalzo poggiati su affusolate colonne di cemento tinte di rosa e ocra, o protuberanze azzardate che creano una serie di portici su entrambi i lati della pensilina.
L’anno dopo, Herwig si è trasferito in Kazakistan per seguire la sua ragazza (ora sua moglie) che lavora per l’ONU. L’ossessione è andata avanti. Stabilitosi ad Almaty per tre anni e impegnato in un progetto sulla Via della Seta, Herwig ha continuato a cercare fermate degli autobus – scoprendo un ricco filone di varianti regionali. «Alcune erano davvero folli» dice. «Era come se ognuna avesse una sua personalità. Mi ha fatto capire che dietro la cortina di ferro e i cliché sull’Unione Sovietica in cui siamo cresciuti noi occidentali c’erano milioni di sognatori, che si spingevano oltre i limiti della creatività».
Dodici anni e oltre 30.000km più tardi, Herwig ha scelto le sue fermate preferite tra quelle di 14 ex Stati sovietici. Sembra che i «padiglioni dell’autobus”, questo il loro rispettabile nome, fornissero una necessaria valvola di sfogo all’energia creativa altrimenti soffocata. «Era pressoché impossibile esprimersi» scrive nel libro Armen Sardarov, architetto bielorusso che ha progettato in epoca sovietica quasi 100 fermate. «Era un periodo monotono, in architettura».
La fermata dell’autobus era una delle poche costruzioni scampate alla macchina della pianificazione centrale e godeva di una certa dose di autonomia. In effetti, il governo aveva deciso che dovessero essere belle e riflettessero l’estetica locale.
Il professor Konstantinas Jakovlevas-Mateckis, incaricato della progettazione stradale lituana nella seconda metà degli anni ’60, ricorda il sentimento di orgoglio civico incarnato dalle fermate dell’autobus: «Volevamo creare la prima strada che nella sua pianificazione rappresentasse due città – Vilnius e Kaunas. Costruire le fermate dell’autobus era un modo per spezzare la monotonia del periodo e dell’architettura sovietica, enfatizzando l’aspetto locale.
Di conseguenza, nel Kyrgyzstan ci sono fermate a forma di kalpak, tipico copricapo a calotta alta della regione, ma anche strutture rotonde e affusolate sulla falsariga delle iurte locali. In Ucraina dominano i rilievi in cemento colorato, un po’ come i mosaici in Moldova, mentre nelle foreste dell’Estonia molte fermate sono semplici costruzioni triangolari dal tetto catramato realizzate in legno, materiale abbondante nella zona.
Alcune delle fermate più complesse si trovano vicino a Pitsunda, sul Mar Nero, dove Chruščёv aveva la sua dacia estiva. Lungo queste strade costiere, voluttuose conchiglie fanno a gara con bocche spalancate di pesci giganteschi, contorte forme di cemento rivestite di mosaico, un Gaudí versione estiva. Si tratta soprattutto dei lavori dello scultore e architetto georgiano Zurab Tsereteli, oggi attivo a Mosca e stimato presidente dell’Accademia russa di belle arti. «Avevamo un comitato, un consiglio architettonico e un organo costruttivo» ricorda. «Ho suggerito che le fermate dell’autobus non fossero solo una cornice di vetro con una panca sotto. La gente doveva trarne piacere. Abbiamo quindi deciso che fossero arte monumentale nello spazio».
Spesso, però, le esigenze artistiche non si adeguavano alle questioni pratiche. Uno dei suoi progetti era un’aureola a forma di concertina, un anello ricurvo che si librava sul terreno come un portale che conducesse i viaggiatori in attesa dell’autobus in un’altra dimensione. Il che voleva dire lasciarli esposti alle intemperie. «Non esiste un motivo per cui non c’è un tetto» dice Tsereteli. «È un problema loro. Io, da artista, faccio tutto artisticamente».
Oliver Wainwright, «Soviet superpower: why Russia has the world’s most beautiful bus stops», The Guardian, 2 settembre 2015