Il nuovo album di Miley Cyrus, alias una crisi ipoglicemica in musica
Miley Cyrus dice parolacce, twerka, si fa le canne, e canta anche: la regina della provocazione pubblica un nuovo album. Che sembra la colonna sonora di un film Disney con personaggi strafatti di droga.
Di Jurek Skrobala
Chi pensa a Miley Cyrus ha davanti agli occhi l’immagine della sua lingua e dei suoi vestiti pressoché inesistenti, ma forse non ricorda subito una sua canzone.
“Provocazione” è la parola d’ordine della figlia 22enne del cantante country Billy Ray Cyrus: sia mentre twerka, sia – come di recente – mentre fa da moderatrice e si esprime come uno scaricatore di porto durante i Video Music Awards di Los Angeles, sia dopo lo show, quando la si vede vestita da maialino e con una canna in mano.
È una provocazione capace di fare notizia, e infatti “FKK-Miley” è finita con lingua e seno in bella vista nei titoli della stampa internazionale. Ma in fin dei conti, Miley Cyrus è una musicista.
Quanta sostanza artistica si nasconde dietro la provocazione, dietro lo show che Miley – che vanta per madrina Dolly Parton – ha interiorizzato fin da quando recitava nel ruolo di piccola star nella serie TV dei primi anni 2000 Hannah Montana?
Nella notte tra lunedì e martedì [tra il 31 agosto e l’1 settembre, ndt] Miley ha pubblicato a sorpresa – ma con scelte intelligenti nel campo delle pubbliche relazioni – il suo quinto album, Miley Cyrus & Her Dead Petz, disponibile in streaming sul suo sito internet; ci sono anche foto che, tra le altre cose, la mostrano affondare in una brodaglia colorata di glitter e zuccherini. Si diverte o sta annegando?
Tra queste due alternative, tra gli hashtag #sudigiri e #dramma, rimbomba il sound del suo nuovo album, una prosecuzione logica del precedente, Bangerz, che dal 2013 per mesi e mesi è rimasto nelle top ten delle classifiche americane ed europee.
La partenza è su di giri, con “Dooo it!”, canzone in cui Cyrus con voce distorta declama “Yeah, I smoke pot (…), but I don’t give a fuck, I ain’t no hippie.” [Sì, fumo erba (…) ma non me ne frega un cazzo, non sono un’hippie, ndt]. Prendere le distanze dal passato è importante per Cyrus, se lo fa già all’inizio di Miley Cyrus & Her Dead Petz, in cui si attribuisce un sound che non ricorda i vecchi rockettari dediti alla beneamata marihuana: “Dooo it!” è uno scoppiettare di beat con sindrome di iperattività accompagnati da un sintetizzatore imperterrito che cerca di darsi una calmata, ma proprio non ce la fa.
In “BB Talk”, Cyrus descrive il dramma quotidiano dei 140 caratteri parlando di una relazione d’amore e discutendo di quali emoji – regine o scimmie che si coprono gli occhi? – siano carine e quali diano ai nervi. Lettere d’amore nell’era di WhatsApp che ci mostrano la gioia di vivere dei giovani privilegiati d’oggi.
Insolito, diverso, nuovo
L’album da la sensazione di guardare le cose attraverso un caleidoscopio dopo aver bevuto troppo Bubble Tea: “Tutto così 2015” è il sottotesto isterico. A volte ci si aspetta che appaiano Teletubbies depressi a zompettare di qua e di là, come nel brano “Mily Milky Milk”, dove il frastuono si abbatte sull’ascoltatore in un batter d’occhio. Sibili e scoppi, rutti sincopati e i versi psichedelici di Miley come “Electric sun beams dancing in a liquid in my skull” [Raggi di un sole elettrico danzano liquidi nel mio cranio, ndt], fino a quando, come spesso accade, si parla di sesso: “Your tongue milking me so hard” [La tua lingua mi succhia così forte, ndt].
Per questa trasposizione musicale di una crisi ipoglicemica, Miley ha contattato importanti personaggi dell’indie-rock, esperti nel miscelare genio e follia, bubblegum pop e spezie psichedeliche in un piatto che in qualche modo risulta insolito, diverso, nuovo: è palese che all’acustica abbiano collaborato i fratelli progressive Flaming Lips.
E anche lo stile dell’avanguardista lo-fi Ariel Pink si fa sentire in “Tiger Dreams”, un brano strascicato, quasi in tralice, in cui Miley riflette sulle canzoni che canta più spesso: “They remind us of the cool shit in the world, but they also remind us we are dying” [Ci ricordano delle robe belle del mondo, ma ci ricordano anche che stiamo morendo, ndt]. Il risultato è un sound così spezzettato e irrequieto che assunto in dosi massicce potrebbe danneggiare il ritmo cardiaco.
Capace di impasticcarsi con Topolino
Con quest’album sorprendente, Miley Cyrus va oltre la forma esteriore, oltre la provocazione nuda e cruda, offre contenuti sconcertanti che mostrano quanto questa giovane americana sotto i riflettori non è cambiata solo nel look, nella superficie, trasformandosi in un animale pop da palcoscenico, ma che è mutata anche nel nucleo, nella musica: una sorta di Major Tom versione femminile dell’era digitale, che rappresenta in modo nuovo, dopo l’adolescenza, le sue fughe giovanili nel mondo fiabesco della Disney, e che sarebbe capace di impasticcarsi con Topolino.
Miley Cyrus & Her Dead Petz è una plastica di Jeff Koons liquefatta e plasmata a mo’ di disco. Le canzoni dell’album sono come dei dolci: squisiti, ma se ne prendi troppi poi ti senti male.
Niente sembra essere abbastanza per Miley Cyrus, lo mostra anche la considerevole mole di canzoni – 23. Miley emerge, non solo attraverso uno show, ma attraverso la sua arte, come icona pop e figura simbolo di una società di eccessi in cui i giovani crescono tra emoji e porno.
Jurek Skrobala, «Überraschungsalbum von Miley Cyrus: Der Zuckerschock», Der Spiegel, 2 settembre 2015