Cibo, riparo e smartphone

Cose essenziali per il migrante del XXI secolo: cibo, riparo e smartphone

Di Matthew Brunwasser

BELGRADO, Serbia – Le decine di migliaia di migranti che le scorse settimane si sono riversati nei Balcani hanno bisogno di cibo, acqua e di un riparo, proprio come tutti coloro che nel mondo scappano da un conflitto. Ma c’è un’altra cosa di cui giurano di non poter proprio fare a meno: di un posto in cui mettere sotto carica gli smartphone.

26migrants-web2-master675

«Ogni volta che entro in un nuovo Stato compro una SIM, attivo internet e scarico una mappa per sapere la mia posizione esatta» spiega Osama Aljasem, insegnante di musica 32enne di Deir al-Zour, Siria. Mentre parla, fissa lo smartphone e progetta lo spostamento successivo verso l’Europa del nord.

«Non sarei mai riuscito ad arrivare a destinazione senza lo smartphone» aggiunge. «È una fonte di stress vedere la batteria che comincia a scendere».

La tecnologia ha trasformato radicalmente questa crisi di rifugiati versione XXI secolo, in particolar modo semplificando la migrazione per milioni di persone. Ha aumentato le pressioni sulle rotte di comprovata efficacia – come questa attraverso i Balcani, dove secondo le dichiarazioni dell’ONU passano 3000 persone al giorno varcando il confine tra Grecia e Macedonia.

In questa moderna migrazione, le mappe per il posizionamento globale, i media e WhatsApp sono diventati strumenti essenziali.

I migranti li usano per postare aggiornamenti in tempo reale su rotte, arresti, movimenti delle guardie al confine, trasporti, alloggi e prezzi, senza rinunciare a mantenersi in contatto con famiglia e amici.

La prima cosa che molti fanno, dopo aver abbandonato la Turchia ed essere sbarcati in Grecia, è di prendere lo smartphone e inviare un messaggio ai cari per dire loro che ce l’hanno fatta.

In parte, il cambiamento è determinato dalle decine di migliaia di siriani appartenenti alla classe media che si spostano per la guerra. Loro, strumenti del genere li hanno a disposizione in abbondanza, e lo stesso vale per i migranti di Africa, Medio Oriente, Afghanistan e Pakistan.

I trafficanti sponsorizzano i loro servizi su Facebook come se fossero una normale agenzia di viaggi, con fotografie dinamiche delle città di arrivo e offerte generose.

Sul gruppo Facebook in arabo “Entrare in Europa”, un trafficante promette uno sconto del 50% ai bambini sotto i 5 anni. Il prezzo di 1700€ per il viaggio da Istanbul a Tessalonica, Grecia (1900$ circa) include lo spostamento in macchina su entrambi i lati del confine e una camminata di due ore.

«Le nostre macchine partono ogni giorno» si vanta il trafficante. Un utente chiede se ci siano sconti per i membri della stessa famiglia. E se qualcuno dubita della veridicità del post, basti dire che ci sono 39 like.

Il gruppo “Entrare in Europa”, con 6057 membri, è solo la punta dell’iceberg di tutti i social media a disposizione dei siriani (e non solo) che intraprendono il pericoloso viaggio verso l’Europa.

Nei loro spostamenti, i siriani sono sostenuti da gruppi Facebook in lingua araba come “Entrare illegalmente in Europa”, con 23.953 membri, e “Come emigrare in Europa”, con 39.304 membri.

Le discussioni sono pubbliche o private, su invito di un amministratore. I migranti condividono foto e video dei loro viaggi, realizzati con gli smartphone.

I gruppi sono molto usati sia da chi viaggia per conto proprio che con i trafficanti. In effetti, la comodità e l’autonomia dell’app potrebbe minare il business della clandestinità.

«Oggi i trafficanti perdono possibili guadagni perché ci si sposta da soli grazie a Facebook» dice il 38enne Mohamed Haj Ali dell’Agenzia Avventista per lo Sviluppo e il Soccorso, nella sede di Belgrado, capitale serba e sosta obbligata per i migranti.

26migrants-web-articleLarge

Di origini siriane, Ali ha vissuto a Belgrado tre anni, aiutando i migranti e ascoltandone le storie. In un primo momento, racconta,  in buona parte i migranti che passavano per la Serbia avevano pagato i trafficanti per una parte o la totalità del loro viaggio.

Ma poi decine di migliaia di persone hanno cominciato a intraprendere il viaggio da soli e a condividere le loro esperienze sui social media – comprese le coordinate GPS esatte di ogni sosta, registrate in automatico dagli smartphone.

Oggi per i migranti i prezzi dei trafficanti si sono dimezzati rispetto all’inizio del conflitto, dichiara Ali.

L’unica tratta per cui in molti pagano ancora i trafficanti, afferma, è quella tra la Turchia e la Grecia. Tanti migranti ora si sentono capaci di compiere il resto del viaggio da soli, con uno smartphone dotato di GPS, senza dover quindi pagare nessuno.

Ali si è accorto che su Facebook gruppi come “Entrare illegalmente in Europa senza pagare un trafficante” sono sempre più popolari.

«I siriani non sono stupidi» dice.

Aljasem, che incontriamo in un parco, afferma di tenersi in contatto con i suoi 21 fratelli sparsi in 5 nazioni diverse grazie a WhatsApp, che richiede solo una connessione a internet. Il loro gruppo privato si chiama “La nostra famiglia”.

Aljasem racconta che una delle prime cose che ha fatto appena lasciata la Siria è stata comprare un nuovo smartphone, perché viaggiare con un cellulare in Siria è troppo pericoloso. I soldati, quelli dei posti di blocco governativi ma anche quelli dello Stato Islamico, ti chiedono la password di Facebook, dice. Così guardano il tuo profilo per capire da che parte stai.

«Se non gli dai la password di Facebook ti picchiano, ti rompono il cellulare o fanno anche di peggio» spiega Aljasem.

La tecnologia trasforma inoltre l’interazione tra i rifugiati e le agenzie umanitarie internazionali anche prima che i rifugiati raggiungano l’Europa.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), ha distribuito 33.000 SIM ai rifugiati siriani in Giordania e 85.704 lanterne solari utilizzabili per caricare gli smartphone.

«L’UNHCR mostra che è cambiato il concetto di rifornimento assistenziale» dichiara Christopher Earney dell’ufficio innovazioni di Ginevra.

Pawel Krzysiek, portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa di Damasco, Siria, ritiene che gli smartphone permettano ai rifugiati di scambiarsi informazioni e di interagire con le agenzie internazionali, invece di ricevere informazioni in modo passivo.

«Siamo al capolinea dell’era dei social network e agli albori dell’era del social messaging» afferma.

Quando a luglio si è rotto una conduttura d’acqua ad Aleppo, nel nord della Siria, il Comitato ha dato una mano a organizzare una rete di distribuzione di acqua potabile pulita, postando una mappa su Facebook. Krzysiek ha detto che vista la crisi idrica i post sulla pagina Facebook siriana del gruppo hanno avuto il doppio di visitatori dei post regolari sulle attività del gruppo.

Secondo un report di Facebook, la mappa dei luoghi sicuri di distribuzione dell’acqua è stata visualizzata da 133.187 persone e ha ricevuto 14.683 click e 4.859 tra like, commenti e condivisioni.

Krzysiek fa un altro esempio, riferendosi a una pagina Facebook siriana molto popolare che riporta in tempo reale il conto totale di bombardamenti su Damasco e delle mappe con le quali gli utenti possono sapere quali zone è meglio evitare.

Mohammed Salmoni, 21enne di Kabul, Afghanistan, che si era fermato a caricare il telefono a un’edicola di Belgrado, dice che la pagina gli ha salvato la vita.

L’ha infatti usata per attraversare a piedi in 40 ore la provincia afghana di Nimruz fino alla città iraniana di Zahedan. «È stato molto pericoloso» racconta.

Per altri, i telefoni sono un archivio di legami profondi.

Shadad Alhassan, 39enne, dice di aver «perso tutto» quando la sua casa di Damasco è stata bombardata mentre lui lavorava in un grattacielo in costruzione per installare dispositivi elettrici.

«Mia moglie è morta nel bombardamento» spiega. «Ora non ho più nulla, tranne i miei due figli». Indica Wassem, 10 anni, e Nazih, 9, seduti con lui su un sacco a pelo in mezzo alla polvere, nel parco.

Sul telefono ci sono le fotografie che lo tengono in contatto con la vita di un tempo.


Matthew Brunwasser, «A 21st-Century Migrant’s Essentials: Food, Shelter, Smartphone», The New York Times, 25 agosto 2015

Cosa ne pensi?

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...