Putin offende il mio intelletto

«La spavalderia di Putin offende il mio intelletto»

Herta Müller, scrittrice premio Nobel per la letteratura, vede il presidente russo come un distruttore: dell’Ucraina, ma anche della sua stessa società, in cui regna solo la paura.
Di Andrea Seibel

L’incontro con Herta Müller, premio Nobel per la letteratura, me l’ero immaginato difficile. Mi aspettavo una persona schiva, sospettosa. Un’intervistatrice può essere considerare un intruso, un nemico, senza che peraltro lo sia. Un incontro è quindi un atto di fede, perché si svolge tra perfetti estranei. Lei però è venuta e abbiamo parlato. Una serata ben riuscita.

Die Welt: Un altro assassinio politico in Russia, e Putin ha annunciato che «risolverà il caso». Per molti, con la morte di Boris Nemtsov è finalmente chiaro che la Russia è diretta verso un’epoca oscura, che ricorda gli anni ’30 non solo in Germania. L’avrebbe mai detto che il nazionalismo popolare avrebbe rialzato il capo?

Herta Müller: Il fatto che Putin voglia occuparsi «personalmente» di far luce sulla questione e che abbia nominato un suo compagno come investigatore capo è in realtà la conferma ufficiale che a Mosca non c’è giustizia indipendente e che il movente dell’omicidio verrà inquinato da indizi falsi. Liquidare gli oppositori politici è ancora oggi una delle abitudini del servizio segreto russo, in patria e all’estero. Natalya Estemirova, Alexander Litvinenko e probabilmente l’impiccato Boris Berezovsky – nessun omicidio è finora stato chiarito. Anche se Putin non ha dato l’ordine di persona, l’omicidio è e rimane il risultato della sua folle propaganda nazionalista, che si è fatta sempre più sfrenata da quando ha dato il via alla guerra in Ucraina.

DW: Putin parla il linguaggio della menzogna – lo sa lui, lo sappiamo noi. Di recente ha addirittura affermato che sarebbe in corso un «genocidio» contro i russi in Ucraina. La menzogna è uno strumento bellico.

HM: Le menzogne non sono mai assurde a sufficienza per la propaganda del Cremlino. Oltre alla guerra contro l’Ucraina, Putin porta avanti anche una guerra propagandistica contro l’Occidente. Alcune delle sue menzogne sono sconcertanti: lo sa, Putin, che i soldati di Hitler della “Legione Condor” mimetizzati da vacanzieri su navi della Kraft-durch-Freude [organizzazione ricreativa della Germania nazionalsocialista, N.d.T.] sono arrivati in Spagna e si sono tolti i contrassegni dalle uniformi mentre bombardavano Guernica? A dispetto degli accordi di Minsk, non credo che la guerra di Putin finirà. Mariupol’ gli serve, così come un accesso via terra alla Crimea. E poi farà una deviazione in Transnistria. Putin non smetterà con l’Ucraina – il lento e continuo logorio è ormai già deciso, un piano pronto nel cassetto. E nessun accordo di pace o dialogo diplomatico cambierà le cose. Putin non si ferma.

DW: Perché non si fermerà? E otterrà quello che vuole?

HM: Sì, perché l’Occidente è impotente e la dichiara anche, la sua impotenza. Non si può certo risolvere l’aggressione che ha iniziato Putin sul piano militare, ma non si può nemmeno continuare solo a parlare! La gente dell’Europa dell’Est, che per decenni ha vissuto l’occupazione sovietica, sa che i dittatori della razza di Putin reagiscono solo alla forza. La ragione e il dialogo sono interpretate come debolezze. Angela Merkel conosce la DDR e il KGB. La sua disciplina diplomatica nei confronti di Putin, però, nasconde sempre l’ombra dell’appeasement. Tanto più importanti diventano quindi le sanzioni, ad oggi l’unico strumento che esprima decisione e presa di distanza. Si dovrebbe sempre mettere Putin davanti alla minaccia di un ulteriore sanzionamento. E invece si ribadisce sempre che si vogliono riallacciare il prima possibile i vecchi rapporti. In questo modo, però, si fa il suo gioco.

DW: In Occidente ci stavamo illudendo, quando abbiamo pensato che dopo la cortina di ferro si sarebbe andati verso democrazia e libertà come riccioli di ferro verso una calamita?

HM: Penso che molti in Occidente dopo tanti anni di sviluppo sociale democratico e di quotidianità pacifica siano diventati incauti e approssimativi nella loro capacità d’analisi. Quando una dittatura collassa, non si determina per una legge naturale la democrazia, ma c’è prima uno stadio intermedio da cui può emergere o una nuova dittatura o una democrazia. Le dittature hanno fatto man bassa della sostanza della popolazione, hanno rubato la vita alla gente. Quello che rimane è l’apparato, il vecchio personale della dittatura nelle nuovi funzioni della politica e dell’economia. La seconda vita della nomenklatura. Lo si vede anche in Russia. Individualità? Preoccupazione per il benessere della gente? La morale, nel senso di rispetto degli altri, la si è del tutto disimparata. Perché nella dittatura tutti i valori sono stati capovolti e si è elogiata la perversione dei valori. Tutto questo la politica occidentale non l’ha capito.

DW: Perché non crede che le parole possano rimettere ogni cosa al loro posto? La democrazia è una conquista culturale.

HM: Quando sono venuta in Germania, ho sentito mille volte l’idea, basata sulle buone intenzioni, che si debba solo parlare e confrontarsi per far andar bene le cose. Qui in Germania c’è anche l’espressione «Finché si parla non si spara». Come se una cosa escludesse l’altra. In realtà anche parlare può distruggere. Per quanto riguarda le nazioni che parlano tra loro, spero però che Steinmeier e Merkel, al di là della loro disciplina democratica, che ovviamente va mantenuta, sappiano con chi hanno davvero a che fare. Che capiscano nell’interesse dell’Europa il pericolo che viene dalla Russia.

(continua)


Andrea Seibel, «Putins Dreistigkeit beleidigt meinen Verstand», Die Welt, 5 marzo 2015

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