Il paziente italiano compromette il futuro dell’Europa
Oh, Italia, Italia! Nel Paese più bello d’Europa non c’è proprio niente che funzioni. Ma c’è di peggio: le cosa vanno così da anni. Solo che oggi la situazione è particolarmente rischiosa, per l’Italia e per i suoi vicini.
Di Dirk Schümer
Se chiedessimo ai politologi – e che rimanga tra noi – qual è lo Stato con la peggiore crisi del continente, il responso sarebbe inequivocabile: l’Italia. È una sorpresa solo di primo acchito. In Grecia i difetti congeniti dell’euro si sono manifestati in modo tragico, a Cipro la speculazione sul taglio dei tassi è stata pressoché fallimentare, in Irlanda, Portogallo e Spagna c’è stato bisogno della solidarietà degli altri Paesi dell’Eurozona per risolvere una situazione debitoria a dir poco squilibrata. L’Italia era uno degli Stati salvatori e ha pagato diligentemente la sua quota. Ma il Belpaese – uno dei fondatori dell’UE – è invischiato in una crisi che si protrae da tempo e ne minaccia l’economia, il mercato del lavoro e l’intera società.
Dal punto di vista economico è facile fare i conti: un tempo gli italiani recuperavano con molta eleganza la loro competitività, anche a fronte di una spesa pubblica eccessiva e di debiti tremendi, attraverso la svalutazione della lira. E quindi i prodotti industriali italiani, il vino, l’olio, la pasta, le stanze degli hotel, diventavano a buon mercato. Oggi un’azienda simbolo come la FIAT ha deciso di delocalizzare e si sono consumati tre governi con e dal ritiro di Silvio Berlusconi.
Di fatto i governi di Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi sono esecutivi di emergenza, nati per pura necessità, privi di un progetto concreto e soprattutto del sostegno dei cittadini. Nessuno dei primi ministri citati ha quel ruolo perché era il candidato più gettonato. La democrazia è ben altra cosa.
Feste folli nel Lazio
Nel frattempo, non è solo quel 50% di italiani che alle ultime parlamentari è rimasto a casa o ha votato quel volgare dissidente di Beppe Grillo ad aver perso la fiducia nello Stato come insieme di partiti che rappresentano l’interesse dei cittadini. Alle regionali in Emilia Romagna la scorsa domenica [23 novembre, N.d.T.] si è presentato alle urne solo il 37,6% dell’elettorato. Per la roccaforte della sinistra italiana, dove nel 2008 si era raggiunto un favoloso 86% di affluenza alle urne, è una catastrofe: in cinque anni di crisi la popolazione ha voltato le spalle allo Stato e ai suoi rappresentanti.
La colpa del fallimento della democrazia non è tanto l’euro quanto il modo in cui i politici di destra e di sinistra, nazionali o regionali dell’era Berlusconi hanno usato il denaro: mentre non veniva fatta nessuna delle riforme promesse – pubblica amministrazione, giustizia, scuola, università –, i rappresentanti del popolo hanno attinto a piene mani alle casse statali.
Sono venuti alla luce scandali in merito alla vita da nababbi dei governatori provinciali più insignificanti: le feste folli in Lazio nello stile della Roma imperiale, gli enormi scandali di corruzione nell’ambito della costruzione dell’Expo, o per il progetto di difesa della laguna di Venezia, per non parlare del Mezzogiorno che riceve le sovvenzioni statali e presenta un 60% circa di disoccupazione giovanile e una mafia florida. Proprio al sud la pioggia di sovvenzioni ha reso intere regioni dipendenti dagli interventi strutturali di Bruxelles – come un tempo lo erano stati dagli assegni inutili della Cassa del Mezzogiorno di Roma.
Sarebbe tutto così bello, si lamentano molti italiani con la loro solita ironia anarchica. Se solo non ci fosse il Governo.
Di fronte alla democrazia più cara del mondo, con circa mille deputati a livello nazionale ed enormi privilegi per la casta dei politici – ci sono più auto blu in Italia che in qualunque altro Stato del mondo –, la maggior parte dei cittadini non si pone più il problema di destra o sinistra. All’estero si dà ancora fiducia a quel verboso di Renzi, con le sue mille promesse, nonostante dipenda ancora in modo considerevole dai vassalli dubbiosi di Silvio Berlusconi.
C’è da stupirsi che nemmeno la riforma ormai scaduta (e gratuita) del complicatissimo diritto elettorale sia riuscita? Per non parlare dello snellimento del tentacolare apparato statale, della riduzione delle dimensioni del Parlamento o perfino della modifica delle scandalose leggi berlusconiane, secondo le quali il falso in bilancio non è un crimine grave, ma un’infrazione minore come un parcheggio sbagliato. Mentre i bilanci statali camuffati spingono l’Italia sull’orlo di un abisso, quello dell’insolvenza, una nuova generazione di disperati si dà all’emigrazione massiccia.
Possiamo però rimproverare ai cittadini il loro comprovato lassismo in termini di morale fiscale, se lo Stato richiede tariffe scandinave per servizi nordafricani? Se gli ospedali e le scuole sono scalcinati, se le strade restano piene di buche, se la polizia oberata di lavoro abbandona a se stesse quelle periferie in fiamme dove da tempo imperversa una sorta di guerra tra gli italiani più poveri e gli immigrati altrettanto emarginati? Gli italiani ci tengono a fare bella figura. E vorrebbero mostrarsi al resto del mondo solo per le città d’arte, i piatti di pasta, il buon vino, il bel clima. Sarebbe tutto così bello, si lamentano molti italiani con la loro solita ironia anarchica. Se solo non ci fosse il Governo. E se solo non ci fossero i politici.
O si continua con indolenza ad abbracciare la catastrofe finanziaria o si attuano con coraggio delle riforme su modello europeo.
Nessuno sa con che ostinazione la casta dei politici continuerà a guidare verso la rovina il Paese non più così bello. Finora non si avverte un vero desiderio di riforma. In Italia non si diventa politici per sobbarcarsi i problemi dei cittadini. E quindi i prodotti dell’Eurolandia restano troppo costosi. Per far appassionare di nuovo i cittadini alla politica, non basta più il denaro a buon mercato del connazionale Mario Draghi.
Lo Stato andrebbe riorganizzato da zero. Eppure è proprio questo il problema: il Paese non ha mai funzionato in modo efficace dalla sua fondazione nel 1860. Lavora bene, come avveniva per le Repubbliche del Rinascimento, solo di regione in regione, di chiesa in chiesa.
Questo “campanilismo” anarchico ha portato in Italia a uno stupefacente individualismo. L’affascinante reticenza dello Stato e il suo virtuoso funambolismo sull’abisso rendono quest’Italia ingovernabile più affascinante e passionale che efficace ma freddina. Ora però il Paese è di fronte a un bivio: o si continua con indolenza ad abbracciare la catastrofe finanziaria o si attuano con coraggio delle riforme su modello europeo. Nel peggiore dei casi entrambe le alternative distruggeranno quel Paese che i tedeschi amano come nessun altro.
Dirk Schümer, «Der italienische Patient gefährdet Europas Zukunft», Die Welt, 28 novembre 2014